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Attilio Zanetti

Attilio Zanetti

"Ho un po’ di rimorso nei confronti di mio padre. Ci credeva nella sua miniera, perché ci ha lavorato fino alla fine, e mentre era lassù a scavare io facevo un altro lavoro e non l’ho mai aiutato. Gli dicevo “Che cosa vai lassù a fare?” non la capivo quella sua passione che poi quando è morto è venuta anche a me."

Mi chiamo Attilio Zanetti e sono nato nel 1929 a Darzo, sono sposato e ho tre figli. Mi chiamavano "Avocac" perché chiamavano così mio papà che lavorava in banca.
Ho studiato geometra e mi sono diplomato nel 1950. Sono andato militare e una volta tornato ho fatto la libera professione. La passione per le miniere mi è venuta da mio padre Giulio Zanetti, che alla fine degli anni ’50 aveva iniziato a scavare in una zona in provincia di Brescia a ridosso del confine con la provincia di Trento. Ma lì aveva una grana con una malga lì vicino che non voleva che si scavasse. Allora aveva depositato una cambiale di 2.000.000 di lire, che allora erano soldi, per poter andare avanti. Comunque aveva cavato solo tre trattori di barite perché il filoncino che aveva trovato era superficiale e correva contro la malga e non si poteva andare molto avanti. Non era un buon posto, infatti quando poi è morto, mi sono spostato e lì ho sistemato. Mio papà poi scavava senza il compressore con le mine come cento anni fa.
Quando è morto nel 1962 la cambiale era rimasta in mano ad una persona, di cui mi fidavo, ma comunque era un buco che dovevo colmare assolutamente. Per cominciare sono andato su dove scavava mio papà per sistemare i buchi che aveva lasciato, perché gli scavi erano anche a cielo aperto. Poi ho deciso di andare un po’ avanti e ho trovato altri filoni nella parte opposta che era in provincia di Trento in una zona a circa 1800 m s.l.m. che si chiama Campi Elisi, in dialetto Cap d’Alìs, vicino a Malga Capre. C’erano delle tracce che affioravano e scavando un po’ sotto la terra si ingrandivano e ho trovato un filone. La barite c’è ancora in giro, il problema è che se trovi il filone compatto va bene come hanno trovato la Maffei, la Baritina e la Sigma, se invece trovi tanti filoni stretti non conviene scavare. Però all’inizio non si sa che tipo di filone si trova e quindi conviene scavare un po’ comunque. Io ho trovato questo filone che però era stretto un metro e poi si è interrotto di colpo.
Portavo giù la barite con il trattore. Avevo su tre operai, ma andavo anch’io su a lavorare a scavare. Si scavava in galleria: una l’avevamo fatta noi, ma poi ne abbiamo trovata anche un’altra, probabilmente scavata 30 o 40 anni prima lunga trenta metri. Non capivo come mai c’era quel buco perché la barite non si vedeva. Infatti quell’anno avevo quasi deciso di lasciar perdere il lavoro, invece in quella galleria ho fatto fare degli altri buchi e abbiamo trovato tutto bianco, la barite c’era. Ho potuto, quindi, andare avanti altri tre o quattro anni. Allora c’era una buona richiesta, si guadagnava qualcosa, ma non certo paragonabile all’oro né giallo, né nero. All’inizio la davo grezza alla ditta Maffei, perché lo conoscevo bene e il dottor Italo era venuto anche su a vedere. Così ho sistemato dove aveva cavato mio padre dalla parte di Brescia perché non c’era più niente da prendere, e ho chiesto la concessione al distretto minerario di Trento. Poi ho avuto dei problemi perché per qualche mese la Maffei non me l’avevano pagata ed ero esposto in banca, mi restava solo la casa da ipotecare, ma non volevo. Allora sono andato giù e per sollecitare il pagamento e mi sento dire: “Ecco che arriva quello della terra” perché la barite che portavo giù aveva dentro del manganese ed era un po’scura. Allora ho pensato di portarla da un altro, e sono andato alla Sigma del dottor Cima. Un giorno incontro il direttore della ditta Corna che abitava qui vicino e mi dice che a loro la mia barite poteva servire da miscelare con quella bianca per certi lavori.
Così ho cominciato a darla alla Baritina e per tre anni non ho avuto grane. Comunque sono rimasto in buoni rapporti anche con la ditta Maffei perché dopo sono andato a lavorare a Trento con loro. In effetti, quando scavavo io, alla Maffei la barite non interessava più, stavano per chiudere la miniera in Val Cornèra e si stavano indirizzando verso altre produzioni. Nel 1969 ho smesso perché non guadagnavo molto con l’estrazione e poi nel frattempo mi aveva offerto lavoro la Mineraria Baritina e così ho pensato che almeno ero più sicuro, perché scavare in proprio è un rischio, anche per gli operai che avevo su. Io sono stato fortunato che non è mai successo niente, ma i rischi erano superiori al guadagno effettivo. Una volta, ad esempio, ero su con un altro il sabato per finire di preparare il vagoncino e portare fuori il materiale dalla galleria. Mentre vado giù a preparare il pranzo verso mezzogiorno, l’altro finisce di caricare e poi mi raggiunge per mangiare. Verso l’una torniamo su e vediamo uscire un po’ di fumo, ma pensavo che fosse ancora quello degli scavi della mattina. Invece, nel frattempo si era aperto come un camino nel tetto della galleria che quasi si vedeva il cielo. Se eravamo lì a lavorare restavamo sotto di sicuro. Eppure avevamo lavorato lì tutta la mattina e non era venuto giù neanche un sassolino, ma per liberare la galleria abbiamo riempito un camion di detriti. Inoltre, anche da un punto di vista economico mi ero abbastanza esposto perché avevo comunque attrezzato lo scavo con binari e un vagoncino anche se lo cose più costose, come il compressore, me l’ero fatto dare in prestito.
Erano stati anni brutti perché lassù dove scavavo si poteva salire solo da maggio quando si scioglieva la neve, e poi lavoravo in mezzo alla polvere, umidità quando pioveva si lavorava sotto l’acqua perché la galleria era profonda solo trenta metri. Però era pericoloso perché spesso la miccia si spegneva, dovevi metterla corta, insomma era un po’ disagiato e per fortuna a 300 metri arrivava la strada militare e io lasciavo su la macchina per ogni evenienza. Ad esempio quando è nato mio figlio Giulio ero su e l’unico contatto con il mondo era il trattore che veniva a prendere la barite, ma in quei giorni era rotto. Allora finalmente arriva il trattore e mi dice che a Rovereto era nato il bambino, tre giorni prima. Allora corro all’ospedale e gli infermieri mi dicono: “Ormai poteva aspettare che cominciava a camminare”. Eravamo su completamente isolati. Effettivamente in quegli anni scavare era quasi un’ossesione e anche la famiglia ne ha risentito perché ero sempre a lavorare. Eravamo come i pionieri, molto alla buona e non vedevamo l’ora che arrivasse il sabato per andare a casa. Cercavo di fare le cose alla meglio per gli operai, ma non potevo pagarli tutto l’anno perché, a differenza delle ditte grosse, io l’inverno non potevo lavorare, quindi assumevo in primavera e licenziavo in autunno. E quindi era difficile trovare la mano d’opera. Inoltre il pericolo era enorme a ripensarci adesso e nei confronti delle altre ditte più grosse, noi lavoravamo come all’età della pietra.
Così nel 1969 sono passato alla Mineraria Baritina. Ogni tanto ci penso e mi dico che forse se avessi tentato ancora avrei potuto andare avanti, perché la passione c’era, però bisognava accontentarsi e fermarsi, e così ho fatto. Diciamo che ci ho provato, non ci ho perso e non ci ho guadagnato, ecco. Ho un po’ di rimorso nei confronti di mio padre che è quasi morto là, perché ci ha lavorato fino alla fine, e mentre era lassù a scavare io facevo un altro lavoro e non l’ho mai aiutato. Gli dicevo “Che cosa vai lassù a fare?” non la capivo quella sua passione che poi quando è morto è venuta anche a me.
Ho lavorato alla Mineraria fino al 1973 ero in Val Trompia vicino a Bormio nelle miniere e in Val Camonica. Ad un certo momento mio figlio si è ammalato ma volevamo che studiasse a Trento e ci siamo fatti la casa. Nel frattempo l’ingegner Piero Corna si era interessato al comune di Storo per prendere la concessione di Val Cornèra per vedere di continuare dove la Maffei aveva lasciato anni prima. Ma anch’io avevo avuto la stessa idea perché gli operai che ci avevano lavorato dicevano che di barite ce n’era ancora su in superficie e mi ha preceduto di quindici giorni e quando sono andato a chiedere in comune era troppo tardi. Comunque mi mandano su in Val Cornèra a seguire i lavori e un giorno arriva su il dottor Italo che era stato avvisato che la Mineraria aveva ripreso a scavare e mi dice: “Sembrate degli avvoltoi su una carogna”.
In quell’occasione gli dico della mia intenzione di venire ad abitare a Trento e gli chiedo se c’è la possibilità di lavorare nello stabilimento della ditta in città. Dopo un mese mi chiama e mi trasferisco a lavorare lì per diciassette anni fino alla pensione nel 1990. L’ambiente lì era abbastanza malsano perché c’era molta polvere. Poi la situazione è migliorata quando hanno messo gli aspiratori. Il lavoro mi piaceva, era uno stabilimento moderno che cominciava ad avere dei macchinari elettronici. Avevamo i binari del treno che entravano nello stabilimento e si caricavano anche 30-40 al giorno di feldspato nelle cisterne sui vagoni che partivano per la Germania.

Mio papà si chiamava Giulio Zanetti era nato nel 1882 ed è deceduto nel 1962 che aveva ottanta anni. Lavorava in banca e quando Carlo Maffei, "il Barba", è venuto da Varese per aprire l’attività lo ha aiutato con i finanziamenti ed è entrato in società con lui insieme all’ispettore Beltrami. Era in società con la Maffei dal 1920 anche in una cava a Condino. Poi nel 1941 mio papà è uscito dalla società e la ditta lo ha liquidato, ma poi con la guerra i soldi si sono svalutati e si è ritrovato con niente. Mentre era in società con la Maffei, nel 1937-38 aveva estratto della barite in un’area sotto la cava della Sigma e aveva estratto circo 30.000 quintali che aveva depositato su un prato. Poi aveva sconfinato nella concessione della Sigma e ha dovuto pagare. Questa barite non l’ha data a nessuna della ditte minerarie di Darzo, non so perché, l’ha data invece a Villa Dogna nel Bergamasco. Nel murales lungo la statale, il primo che è stato fatto quello sulla casa del Leone Beltrami, è raffigurato anche mio papà, hanno preso spunto da una fotografia che lo ritrae davanti a uno scavo di barite assieme a un operaio.

Intervista effettuata a Darzo nel mese di gennaio del 2011.

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Darzo è un paesino di circa 750 abitanti, frazione di Storo, vicino al Lago di Garda e alle sponde del Lago d'Idro.

Si trova in Valle del Chiese in Trentino, a metà strada tra Brescia e Madonna di Campiglio.

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