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Gianvittorio Tanghetti

Gianvittorio Tanghetti

"Penso che se la Mineraria Baritina è ancora attiva lo si debba al contributo determinante dell'ingegner Piero: lui è stato più che un proprietario, è stato l'anima di questa attività e, quando nel 2000 è venuto meno, la situazione era così ben avviata che l'attività ha potuto andare avanti quasi da sola. "

Mi chiamo Gianvittorio Tanghetti. Ho cominciato a lavorare per la ditta Corna Pellegrini nel 1964 e sono ancora qui.
Sono nato a Bovegno in val Trompia nel 1940; lì fino agli anni '60 c'erano in attività miniere di ferro e di fluorite. Mio papà in paese gestiva un negozio di generi vari dove si trovava di tutto dalle scarpe agli utensili per l'agricoltura. Era un punto di riferimento per il paese e così ha avuto modo di conoscere dei periti minerari e quando, una volta finite le scuole di avviamento, è stato il momento di decidere dove andare a studiare, hanno consigliato mio padre di mandarmi a fare il perito minerario nella scuola di Agordo (in provincia di Belluno). Cosi mi sono diplomato lì nel 1960 e sono stato il primo perito minerario della provincia di Brescia. Nel frattempo, però, le miniere in Val Trompia erano state chiuse e l'unica aperta aveva già il proprio perito. Così sono stato assunto dall'Agip per fare le ricerche petrolifere nel sud Italia, poi ho fatto il militare e una volta tornato ho lavorato un periodo come rappresentante per la provincia di Brescia di una azienda americana che produceva attrezzature minerarie. In quel periodo ho conosciuto l'ingegner Piero Corna Pellegrini. Nei miei giri, un giorno, ero andato a presentare i prodotti negli uffici amministrativi di Brescia della ditta Corna Pellegrini. Dopo qualche tempo, nel 1964 appunto, l'Ingegnere ha deciso che aveva bisogno di un collaboratore, si è ricordato di me e mi ha chiamato. Da allora sono sempre stato con lui. Ho scelto questo lavoro e l'ho sempre fatto o con entusiasmo anche sacrificando la famiglia, perché mi ha sempre dato una profonda soddisfazione.
Ho affiancato l’ingegner Piero nella conduzione delle miniere: inizialmente nella miniera di Marìgole che era l’unica attività estrattiva della ditta, poi in altre miniere nate a Bovegno e a Paisco in provincia di Brescia e in provincia di Lecco con la miniera di Primaluna che è stata l’ultima a chiudere per esaurimento del minerale, cioè della barite. Nello svolgere il mio lavoro sono stato sempre agevolato dall’atteggiamento dell’ingegner Piero Corna, che è stato una persona eccezionale: bravo a stimolare i collaboratori e sempre aperto alle innovazioni. Ho lavorato con lui per trentasei anni in modo splendido; era lui la società perché da quando l'ha presa in mano all'inizio degli anni '50 sono iniziate le innovazioni tecniche e lo sviluppo della produzione. Lui ci stimolava sempre a documentarci e a non accontentarci di quello che avevamo ottenuto. Sono stato fortunato a venire a lavorare qua.

Per me lavorare in Baritina è stato molto facile e piacevole. L’attività che mi ha coinvolto di più è stata la miniera di Marigole, perché in questa miniera ho vissuto tutte le trasformazioni tecniche che si sono realizzate nel corso dei quaranta, quarantacinque anni di attività della miniera che ha chiuso nel 2009. Il lavoro che seguivo in miniera era stimolante: ho sempre sostenuto che il lavoro di galleria presenta ogni giorno situazioni diverse che stimolano a non dare niente per scontato. Il lavoro va verificato quotidianamente perché la risposta che la montagna dà al nostro intervento non è sempre quella che ci si aspettava; la natura è così. Ogni metro di galleria riserva delle sorprese ed proprio questo il fascino del lavoro in miniera: non si è mai certi di quello che si trova il giorno dopo. Ci sono situazioni che danno soddisfazione a continuare e altre che deludono, ma la passione e l’entusiasmo della ricerca ti porta ad andare a scoprire qualcosa che non si conosce e che la natura ci tiene celato.
Certo che oltre a questo aspetto, il lavoro in miniera comporta anche notevoli responsabilità, perché è un lavoro rischioso e questo mi ha sempre dato molta preoccupazione, perché per quante precauzioni di prendano e per quanti dispositivi si mettano in azione, la sicurezza delle persone che lavoravano in sotterranea non è mai certa. Negli anni ho vissuto due incidenti gravi, due persone che hanno perso la vita nella nostra miniera Gelani Prudente e Zaninelli Quintilio. Il primo è accaduto nei primi anni che ero qui in Baritina, invece il successivo dopo circa vent'anni. Sono fatti che ti segnano perché si cerca di fare tutto perché queste cose non succedano, e invece succedono comunque. Per loro c'è sempre un ricordo particolare.
Durante gli anni di lavoro, ho assistito a notevoli cambiamenti nella miniera di Marigole, che da un processo essenzialmente manuale, si è meccanizzato rendendo meno pesante il lavoro dei minatori: nel 1970 si sono introdotte le pale meccaniche e i locomotori per il trasporto del minerale. Negli anni Ottanta c’è stata anche la trasformazione completa del modo di coltivare la miniera con l’introduzione e l'affinamento della tecnica della ripiena cementata. In quegli anni, infatti, il lavoro stava cominciando a presentare delle difficoltà legate alla vecchiaia della miniera, che aveva all’epoca circa settanta anni di attività. C’erano dei segni di cedimenti che rendevano sempre più difficile l’estrazione del minerale e la sicurezza dei lavoratori. Con la ripiena cementata si riempivano i vuoti prodotti dall’estrazione, realizzando delle spianate di calcestruzzo molto resistenti sotto le quali era poi possibile asportare il materiale avendo come calotta un cielo sicuro. Oltre a questo, il sistema adottato permetteva di realizzare delle gallerie più alte e larghe dove potevano essere impiegate le pale gommate, non più quindi su binario, per spostare e trasportare la barite liberamente spostandosi a seconda nelle necessità dei lavoratori. In questo modo si garantiva un ambiente di lavoro migliore, una maggiore produzione e la sicurezza dei lavoratori. Per eseguire la ripiena cementata, una volta deciso a quale livello operare, prima bisognava aprire delle gallerie e una volta aperte venivano riempite di calcestruzzo magro n modo da realizzare una grande soletta autoportante e che interessava tutta l’estensione del filone. Completata questa operazione, si scendeva al livello sottostante per estrarre la barite. Nei tempi precedenti la coltivazione veniva fatta sempre scendendo e riempiendo i vuoti con il materiale di scarto, lo sterile, però con questo sistema non si creava una struttura solidale con la montagna e c’era sempre il rischio dei cedimenti. I costi derivanti dalla realizzazione della ripiena cementata risultavano coperti dalla maggior produzione di minerale: da gallerie di pochi metri quadri, siamo anche a dieci metri quadrati di sezione. La tecnica della ripiena cementata è stata introdotta in Italia pochi anni prima che la introducessimo noi in Friuli e poi contemporaneamente a noi è stata applicata in Toscana e in Piemonte dove siamo andati a visitare l’impianto per verificare la possibilità di riprodurlo a Marigole. Per introdurre la ripiena cementata è stato necessario modificare il sito esterno alle gallerie per ospitare la ghiaia, che poi era lo stesso sterile di scarto dalle lavorazioni effettuate allo stabilimento, e le attrezzature che servivano per confezionare il calcestruzzo, che poi veniva prodotto in loco dalla ditta Scaglia di Storo, che saliva con una betoniera autocaricabile a Marigole per fare questa operazione. La strada per Marigole era già stata aperta negli anni ’70 per eseguire i lavori di ampliamento dei locali dei compressori che producevano l’aria compressa per alimentare le pale meccaniche; prima arrivava fino a Pice e insieme all’Asuc di Darzo e Storo abbiamo realizzato il tratto mancante fino a Marigole.

Queste innovazioni hanno permesso di lavorare in maniera completa il minerale che c’era, non è rimasto niente di quello conosciuto, la natura può riservare sorprese, ma al momento noi non siamo in grado di sapere se c’è altro minerale nella montagna. Quello che è stato individuato è stato riconosciuto perché c’erano degli affioramenti visibili ad occhio nudo. Poi negli alla fine degli anni '70 quando ha chiuso la ditta Sigma, abbiamo fatto una campagna di ricerche utilizzando una sonda carotatrice che recuperava campioni di roccia in profondità arrivando fino centosessanta, centottanta metri di profondità nella direzione di aree che per conformazione avevano qualche probabilità di avere dei giacimenti di barite, però non abbiamo trovato niente. Mentre la stessa sonda utilizzata a Primaluna, in provincia di Lecco, ci ha permesso di trovare un filone che abbiamo coltivato per circa trent’anni. Si trattava di una miniera già precedentemente chiusa per esaurimento e che è stata riaperta e ha lavorato fino all’anno scorso.
A Darzo, oltre alla miniera in montagna, la ditta aveva anche uno stabilimento in paese che ha cominciato a lavorare nel 1938 occupando il sito di un vecchio mulino di farina. All’epoca la ditta si chiamava Camillo Corna – Pellegrini e Fratelli e ha cominciato con dei mulini a palmenti, vale a dire con macine di pietra come quelle usate per macinare il grano. Prima di costruire lo stabilimento il minerale andava macinato a Vestone, come facevano anche i Maffei, dove era in funzione una batteria di mulini a palmenti mossi dalla corrente del fiume Degnone. Fino al 1938 la macinazione era fatta così. Dopo con l’apertura dello stabilimento, la produzione maggiore era fatta a Darzo. Prima dell’inizio della guerra è stato introdotto un mulino biconico che utilizzava come corpi macinanti i ciottoli di silice che  provenivano dalla Loira o dal Ticino. Poi negli anni ’50 sono cominciate le vere innovazioni tecniche. Sono stati introdotti i separatori a vento per separare la polvere che veniva macinata, in modo da eliminare dal prodotto finito le particelle troppo grossolane. Nella macinazione un’altra innovazione è stato il mulino a vibrazione che negli anni ’70 è stato sostituito dal mulino cilindrico che è ancora in funzione e che da solo sopperiva a tutta la produzione. Nel campo della separazione i primi separatori Platt non stati sostituiti da separatori più precisi che davano maggior sicurezza del prodotto finito. Anche  nei processi di arricchimento del minerale ci sono state della innovazioni. All’inizio c’era solo la cernita a mano che determinava la qualità del minerale che scendeva dalla miniera, l'arricchimento avveniva sia separando la barite dallo sterile, che selezionando il materiale in base alla sua bianchezza che poi corrispondeva alle diverse qualità del prodotto. All’epoca si chiamava "Nivea" la barite migliore, poi c’era "la Prima" qualità, "la Seconda" e "la Terza". Successivamente a fianco di questa attività sono state introdotte delle attrezzature che, basandosi sul peso specifico della barite diverso dallo sterile, separavano la prima dal secondo. Utilizzando dei cassoni con dell’acqua in cui era immersa la barite granulare si procuravano delle pulsazioni verso l’alto, calibrate in modo da far sollevare il materiale: ricadendo verso il fondo del cassone, la barite si stratificava nel basso essendo più pesante e lo sterile invece più in alto e così era possibile effettuare l’arricchimento del minerale, trascinando la barite depositata verso l’esterno. Innovazioni sono poi state introdotte nel reparto del confezionamento. La barite è sempre stata confezionata in sacchi, prima venivano riempiti a mano, poi sono state introdotte le insaccatrici automatiche. Secondariamente sono arrivate delle macchine in cui si caricava direttamente il sacco che una volta riempito veniva trasportato con dei nastri verso un pallettizzatore che li confezionava in bancali pronti per la spedizione. Questa innovazioni hanno consentito di alleggerire il lavoro che si concentrava soprattutto in compiti di controllo e sorveglianza, piuttosto che di attività  manuale e fisica.

Nei primi tempi il personale che lavorava in miniera si affezionava al lavoro e normalmente ci rimaneva fino alla pensione. Una spiegazione potrebbe essere che l'ambiente che trovavano in Marìgole era molto cordiale e si sviluppavano tra i lavoratori dei sentimenti di amicizia forse anche per il fatto che risindevano in cantiere tutta la settimana. Come ditta e dirigenza abbiamo sempre cercato di rendere la loro permanenza a Marigole il più facile possibile, creando una mensa con  il cuoco per il pranzo e la cena. Questo rendeva meno pesante la lontananza dalla famiglia. Fino alla prima metà degli anni '80 i minatori erano della zona, di Darzo, di Storo, di Ponte Caffaro, di Condino, di Bagolino. Poi invece, un po' per il fatto che la nostra miniera era rimasta l'unica in zona in seguito alla chiusura della Maffei e della Sigma, e quindi l'interesse a specializzarsi in questo settore era diminuito, un po' il fatto perché si erano sviluppate numerose imprese locali e quindi c'era maggiori opportunità di lavoro, i minatori provenivano dalle valli dove ancora erano attive delle miniere, oppure dove erano state appena chiuse: Valle Trompia, Valle Camonica  o la valle di Scalve nel bergamasco. Tutte le persone che ho visto in miniera le ho viste lavorare con passione cercando di fare qualcosa di utile per l'azienda con dedizione. In quasi tutti i lavoratori che ho frequentato ho riconosciuto il desiderio di far andare le cose bene, di trovare le soluzioni migliori, insomma un entusiasmo che li portava a parlare del loro lavoro anche una volta usciti dalla miniera. Per spiegarmi con un esempio, i minatori di Primaluna, Bonucelli Michelangelo, Fontanive Antonio, Tanghetti Giuseppe e Gatta Marino non accettavano che la miniera chiudesse, non solo per non perdere il lavoro, ma per l'idea che non ci fosse più niente da cercare sotto terra. La stessa cosa era successa anche qui a Marìgole qualche anno fa prima di chiudere, dove oltre a questi minatori lavorava anche Zanetti Fabiano. Anche se a Marigole è stato più facile abituarsi all'idea che la miniera dovesse finire, forse perché tutte le altre miniere di barite avevano già chiuso da anni.
D'altra parte il lavoro del  minatore è veramente particolare. Anche adesso quando vengono dei visitatori a Marìgole, la figura del minatore stimola sempre particolare curiosità; l'emozione che provano quando entrano nella galleria, è una forma di riconoscimento ai minatori, un'ammirazione per il fatto che loro entravano lì tutti i giorni a lavorare.  Anche durante le manifestazioni pubbliche i minatori venivano riconosciuti come persone che facevano un lavoro particolare e difficile, dove ci voleva coraggio e forza. Per fare il minatore ci vuole passione: c'erano dei minatori che non riuscivi a far lavorare fuori. Se volevi far loro un dispetto, li facevi lavorare lontano dall'avanzamento. Inoltre, lavorare nelle gallerie delle miniere estrattive, è diverso dal lavoro nelle gallerie stradali o ferroviarie, dove si entra con i camion e i macchinari. Fare il minatore nelle miniere, non solo da noi, ma in tutto il mondo, è un lavoro che viene riconosciuto come misterioso e pericoloso e si lega sempre al ricordo delle grandi disgrazie che sono avvenute anche recentemente e che hanno visto molte persone rimanere imprigionate sotto terra. Pensando ai capi minatori, ad esempio,  che si sono succeduti nella conduzione della miniera i Piccinelli, padre Giuseppe e figlio Domenico, Grassi Rodolfo, sono state persone a posto, capaci ed equilibrate che svolgevano anche un ruolo di mediazione tra la dirigenza e i minatori; si conquistavano il ruolo sul campo. Una volta andato in pensione Grassi Rodolfo è stato assunto Bartoli Emilio, il quale è stato il primo capo miniera che prima non era stato minatore. Alla metà degli anni '70 infatti, il Distretto minerario di Trento ha imposto che la gestione dei lavori fosse coordinata da un tecnico e, infatti, lui era perito minerario. Grossi problemi, quindi, non ci sono mai stati nei rapporti tra i minatori e la dirigenza perché le persone che dovevano dirigere i lavori sono sempre state scelte nel modo giusto. Anche negli anni delle contestazioni operaie, qui abbiamo avuto pochi problemi: solo una volta a metà anni '70 in un'occasione due o tre persone hanno lasciato il lavoro, ma poi, parlando con loro, li abbiamo recuperati. Probabilmente il fatto che i minatori condividessero giorno e notte lo stesso ambiente contribuiva a risolvere eventuali problemi in modo diretto, nello stesso momento in cui si presentavano. Inoltre i minatori venivano pagati meglio e avevano anche il servizio mensa. Lo stabilimento, invece, era un po' più sindacalizzato e i rapporti erano meno diretti, ma anche lì non abbiamo avuto grossi problemi.

La ditta Mineraria Baritina opera ancora anche se le sue due miniere sono chiuse lavorando minerale acquistato; già dal 1995 abbiamo cominciato a comperare materiale dall'esterno, da quando la produzione di Marìgole ha cominciato a calare e contemporaneamente è aumentata la richiesta. La barite la comperiamo in Cina o in Marocco perché in Italia non ce n'è più. La stessa Europa dipende ormai dai paesi asiatici. La barite, soprattutto quella bianca, non ha una grande diffusione, ma ha un grande utilizzo: ad esempio quella scura viene usata nelle perforazioni petrolifere e la sua richiesta è in continuo aumento. Mentre la barite bianca viene usata nelle vernici in polvere, nella plastica, nella gomma, nei mastici e negli stucchi, nei pavimenti industriali. Oltre al pregio di essere densa ha la proprietà di non venir attaccata dagli acidi e per questo è utile  in molte le produzioni industriali. La ricerca sta cercando di sviluppare nuovi materiali ma al momento non è riuscita a trovare un sostituto della barite con pari proprietà fisiche. Penso che se la Mineraria Baritina è ancora attiva lo si debba al contributo determinante che l'ingegner Piero ha avuto nel condurre l'impresa in un certo modo. Lui è stato più che un proprietario, è stato l'anima di questa attività. Ha portato avanti il lavoro, l'ammodernamento e quando nel 2000, è venuto meno la situazione era così ben avviata che l'attività ha potuto andare avanti quasi da sola. L'ingegner Piero è stato lungimirante anche quando caldeggiava la nascita del museo delle miniere che custodisse e tramandasse la storia dell'esperienza mineraria di queste zone; lui lo pensava in favore della popolazione di Darzo e della zona, perché si sentiva partecipe nello sviluppo economico di questi paesi che dall'attività delle miniere hanno avuto lo stimolo per sviluppare anche altre aziende e iniziative economiche.

Intervista raccolta a Darzo il 16 maggio 2013.

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Si trova in Valle del Chiese in Trentino, a metà strada tra Brescia e Madonna di Campiglio.

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