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Bernardina Marini "Dina"

Bernardina Marini "Dina"

"Ricordo che mio papà è rimasto un anno senza ricevere lo stipendio, ma non potevano licenziarlo. Siamo andati tramite i sindacati e gli hanno fatto avere la paga. Fischiava quando respirava, così dal 1962 ha ricevuto la pensione con il 100% di silicosi."

Mi chiamo Bernardina Marini, ma tutti mi chiamano "Dina dal Bèno". Sono nata a Storo nel 1943 ho due figli.
Mio papà si chiamava Gilio Marini ed era del 1913. Già a quattordici anni andava come garzone in miniera per la Maffei a tenere i ferri ad un minatore più anziano che veniva chiamato Bèno. Con il tempo anche mio papà veniva chiamato Bèno e questo è diventato il soprannome della famiglia. È morto a 62 anni a causa della silicosi. Siccome non riusciva più a salire in miniera perché gli mancava il respiro il capo che si chiamava Bristot lo ha trasferito nello stabilimento. È sceso con il suo materasso e le sue cose. Ma il direttore Spreafico non lo voleva in stabilimento perché mio papà non riusciva a fare niente che gli mancava subito il respiro. Allora lo hanno mandato a casa e nel 1961 mio papà è rimasto un anno senza ricevere lo stipendio, ma non potevano licenziarlo. Siamo andati tramite i sindacati e gli hanno fatto avere la paga. Fischiava quando respirava, così dal 1962 ha ricevuto la pensione con il 100% di silicosi.
Ho molti ricordi di mio papà che lavorava in miniera in Val Cornèra perché d’estate andavo sempre a fargli compagnia quando restava su a fare la guardia alla polveriera. Andavo su con mio fratello più giovane il sabato e tornavo la domenica sera. Insieme si andava a fare legna oppure nei boschi e ho fatto la mia vita lassù fino a quando mi sono sposata. Dormivamo nei letti degli altri operai che non c’erano e si mangiava pane e funghi raccolti insieme cotti sulle braci. Eravamo molto legati io e mio papà: sul punto di morte ha chiesto a me di prendermi cura della mamma perché era sicuro che gli avrei ubbidito sempre. Mio papà avrebbe fatto di tutto per la famiglia. Per arrotondare andava una volta alla settimana in malga, prendeva il burro lo custodiva all’entrata della miniera dove c’era molto freddo. Poi quando i negozi avevano bisogno portava giù il burro con la teleferica. Io lo aiutavo a fare questa operazione di mettere il burro vicino all’entrata della galleria. Poi ai minatori facevano portare giù i rami di pino per fare le ghirlande.
Fare il minatore era un lavoro rischioso. Basti pensare che quando facevano la volata, a volte l’esplosivo non partiva subito. Mio papà mi raccontava che una volta hanno aspettato un po’ ma siccome non esplodeva, si sono avvicinati. All’improvviso è esploso tutto e per fortuna hanno trovato dei buchi per ripararsi. Ci sono stati momenti brutti, anche perché mio papà ha lavorato in galleria senza l’acqua, quindi ha respirato tutta la polvere ed è per questo che si poi si è ammalato ed è morto per causa della silicosi.

Intervista effettuata a Darzo nel dicembre 2010

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