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Giulio Fusi

Giulio Fusi

"Allora si girava in tanti con il camion. Poi un bel giorno hanno fatto la legge che si poteva andare in uno solo sul camion e allora qualche volta mi portavo dietro la moglie e le due figlie."Mi chiamo Giulio Fusi sono nato ad Orzivecchi, in provincia di Brescia, nel 1938 ma abito a Lodrone dal 1943 e il mio soprannome è “Pedrèl”.

Abitavo in campagna fuori dal paese e nel 1952 il primo giorno di primavera stavo andando a scuola con mio fratello e sento gridare “guarda che brucia la tua casa!” mi giro e vedo la mia casa tutta in fiamme; dopo due ora non c'era più niente. Con la famiglia, eravamo sette fratelli, siamo andati ad abitare in un fienile e non mi restavano che gli zoccoli che avevo ai piedi. Per fortuna Mesi Francesco e Scarpari Virginio mi hanno aiutato e mi facevano ferrare gli asini nella loro officina; sono rimasto là per otto anni ad imparare il mestiere del fabbro. Poi un giorno sento dire che alla ditta Maffei cercavano un operaio: sono stato lì un anno a lavorare in officina. Poi Scarpari aveva bisogno di me nella sua officina a Storo perché nel frattempo avevo imparato bene il mestiere ed ero diventato un po' il capo, ma dalla Maffei anche il padrone non mi voleva più lasciar andare via. Nel 1960 sono stato assunto. Mentre lavoravo in officina ho fatto la patente "E" e siccome allora nei camion bisognava andare in due, quando mancava qualcuno, mandavano me, ero un po' come il jolly. Andavo sia qui vicino fino a Trento, sia a Sassuolo alla Mirabassi, a Trieste, Milano, Faenza, Brescia, alla Idealstandard a Pordenone: come faccio a ricordarmele tutte servivamo 400 ditte in tutta Italia. Allora si girava tanto. Poi un bel giorno hanno fatto la legge che si poteva andare in uno solo sul camion e allora qualche volta mi portavo dietro la moglie e le due figlie.

Il camion andava sempre sia di giorno che di notte: partivo carico all'una di notte e tornavo alle 11, si caricava allo stabilimento e partiva l'altro che tornava alla sera alle nove o alle dieci, si caricava e ripartivo io, ci alternavamo una settimana in un modo e una in un altro. C'erano cinque autotreni che viaggiavano giorno e notte ininterrottamente solo a Darzo, altri quattro e cinque ne aveva a Trento. Poi arrivavano anche autotreni da fuori da altre ditte a comperare il materiale. Andavano via al giorno anche cinquemila quintali di feldstato, non ho mai portato barite. Quando poi gli ultimi anni ho trasportato solo il feldspato da Giustino a Darzo, facevamo i turni: dalle tre di notte a mezzogiorno, o da mezzogiorno alle nove di sera e dalle nove alle tre di mattina. Tutta la settimana così con il camion. Tre viaggi di giorno e due di notte, un viaggio durava tre ore. La manutenzione di faceva il martedì e si perdeva un viaggio: facevamo la manutenzione all'interno ma se bisognava cambiare qualcosa andavamo in officina. Lavoravo con Fogazzi Luigi, Zanetti Giorgio, Baratella Aristide, Carraro Renato, Grassi Gianni e Zanetti Fulvio tutti da Storo. Alcuni sono già morti.

Il lavoro mi piaceva altrimenti non era possibile farlo: io per la Maffei ci andrei ancora. Non ci sono stati mai problemi. Tante volte si prendeva una multa, non ho mai avuto una critica o un richiamo, perché certe ditte le fanno pagare agli autisti. Mi ricordo proprio l'ultimo anno che ho lavorato lì stavo andando a Pinzolo e mi ferma la Polizia a Tione. Qualcuno aveva manomesso il tachigrafo, il disco che segna gli orari dei viaggi, insomma mi danno novecentro e rotti mila lire di multa. Poi nel frattempo sono andato in pensione nel 1990, e nel 1991 mi arriva da pagare come autista una multa di trecentomila lire. Ho provato ad andare dal direttore Rampazzo che mi ha detto: “lascia qui che paghiamo noi”. I miei rapporti con il dottor Italo erano ottimi, abbiamo spesso mangiato insieme a Pinzolo e a Campiglio. Ho portato anche sua moglie con la mia Seicento a Campiglio. Niente da dire alla famiglia Maffei: soprattutto a Darzo molti sono riusciti a farsi la casa grazie ai Maffei. Mi piaceva la serietà della ditta ed è per questo che sono rimasto lì tutta la vita. Nei trent'anni che ho lavorato, il lavoro è cambiato in meglio: lo stabilimento è stato sistemato grazie al direttore Aronne Paoli che era preciso e non voleva vedere polvere. Anche il lavoro di camionista è migliorato: guidare gli ultimi camion era come stare in pulman, uno spettacolo e una potenza che andava come una freccia, andavo meglio con i camion che con la mia macchina, mentre i primi erano rumorosi e un po' fiacchi. Anche le strade sono migliorate: all'inizio si andava soprattuto sulla normale, perché gli stabilimenti erano nelle città. Poi alla fine invece si andava in autostrada, a Desenzano, e si tagliava fuori tutto.
 
Intervista raccolta a Lodrone il 24 aprile 2013

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