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Fabrizio Marini

Fabrizio Marini

"Secondo me hanno sbagliato in Provincia a far chiudere Pinzolo [Giustino]: va bene il turismo ma qui abbiamo le materie prime che altrimenti dobbiamo comunque andare a pagare da fuori, almeno diamo lavoro alla gente di qui. Ultimamente abbiamo lavorato feldspato cinese, sacchi riempiti a mano per un pugno di riso."

Mi chiamo Fabrizio Marini. Sono nato del 1958 risiedo a Darzo, sono sposato con due figli. Il soprannome della mia famiglia è "Giòti".
Ho lavorato per la ditta Maffei dal 1981 al 31 maggio del 2009. Nell'Ottanta ero stato alla Baritina a chiedere se c'era lavoro e il direttore mi aveva offerto subito un posto in Marìgole. Mio papà era stato una vita in miniera e mi ha detto: "Se puoi non andare mica là dentro". All'epoca avevo 22 anni e avevo già lavorato per una ditta edile che aveva cantieri in giro per il nord Italia ed ero abituato a stare all'aria aperta e fuori dal paese, in poche parole, non me la sono sentita.
Poi quando la ditta edile ha chiuso sono stato assunto dalla Maffei.
All'inizio lavoravo come caricatore di sacchi da 50 Kg sui camion. L'insaccatrice allora era a mano e faceva due sacchi alla volta che si caricavano sui carrelli da due ruote. Attraversando un pontile, si caricavano sui camion tre quintali e mezzo alla volta. I sacchi si caricavano a mano sul camion in pile da tre perché allora non si usavano ancora i bancali per trasportare il materiale.
Noi qui a Darzo non avevamo il pallettizzatore come nello stabilimento di Trento, perché la ditta ha tenuto questo impianto per provare diversi prodotti da lavorare in altri suoi stablimenti in giro per l'Italia. Infatti dagi anni Novanta, accanto alla produzione principale che era il quarzo e il feldspato, abbiamo lavorato anche la micalite da Vipiteno, il caolino che però non scorreva e bloccava gli impianti. Abbiamo lavorato materiale tipo feldspato che veniva dalla Calabria e negli ultimi anni è arrivato materiale anche dalla Turchia e del sasso rosso dal Marocco. Io non ho mai lavorato la barite, perché quando ho iniziato già si lavorava il feldspato di Giustino che arriva già in granella, lavato ed essicato con i camion facendo tre viaggi nelle 24 ore. Noi lo lavoravamo nei due mulini in funzione per farlo diventare polvere e la cernita la facevano i separatori meccanici. Io non ho avuto problemi di salute ma dei tanti che sono andati in pensione ne sono rimasti pochi.
C'era molta polvere. Ad esempio quando si cambiava tipo di produzione bisognava scendere nei silos con le corde per pulirli con il badile. Quando si usciva eri pieno di polvere nelle orecchie e negli occhi, anche dopo essersi lavati, restava nei pori della pelle e anche con la maschera ti sentivi i granellini in bocca.
Comunque ne ho visti molti che, anche se gli davano la maschera, lavoravano fumavano sigarette senza filtro, quindi tenevano la maschera per modo di dire. Nel 1981-82 lasciavo lì un milione di trattenute, si guadagnava bene 2.500.000 lire al mese. Poi andando avanti sono calati i contratti nazionali perché hanno chiuso parecchie miniere e i lavoratori non avevano più la forza dei numeri. Così siamo andati indietro con le paghe.
Nei 28 anni che ho passato alla Maffei il mio lavoro è cambiato. Mano a mano che gli operai andavano in pensione non venivano più sostituiti, quindi il personale calava. Allora io che ero al frantoio dovevo lavorare anche al forno perché l'operaio addetto era andato in pensione. Dopo qualche anno è andato in pensione quello che andava con la pala, non hanno assunto il palista, ma mi hanno detto "Vai te co la pala". Quindi in otto ore dovevo andare con la pala, frantumare e alimentare i mulini. Poi negli utlimi anni hanno messo un'altra macchina chiamata la "micro" che faceva la micronizzazione del prodotto e che tra l'altro, poi è stata presa a pretesto per chiudere l'impianto perché ci hanno detto che non si riusciva ad ammortizzare. Quindi insieme agli altri mugnai dovevo seguire anche questa macchina. Bisognava organizzarsi nelle otto ore: sperando che il collega precedente non avesse combinato qualcosa, perché altrimenti bisognava anche sistemare le cose mentre si faceva il proprio lavoro perché, comunque, la produzione non si fermava. Per fortuna quando questa situazione si è venuta a creare avevo già alle spalle vent'anni di esperienza.
Qui si lavorava bene, avevamo ottenuto anche la certificazione ISO e non abbiamo proprio capito perché ce l'hanno chiusa. Quello che noi operai abbiamo capito chiaccherando con i trasportatori è che probabilmente alla Iris, che ha comperato dai Maffei, non interessava il prodotto in sè ma il portafoglio clienti e poi c'è stato anche il fallimento, insomma qualcosa di poco chiaro. Anche questi ultimi che sono subentrati della Minerali Industriali stanno chiudendo degli stabilimenti tra i quali il nostro che stava lavorando al 100%. Anche a loro interessavano solo i clienti e la qualità del nostro stabilimento, infatti ci hanno smontato i pezzi migliori e se li sono portati via.

Mio papà Vigilio Marini dei "Giòti" e mia mamma Marta Beltrami dei "Tonai" hanno lavorato entrambi per le ditte minerarie. Mio papà ha lavorato una vita prima per la Maffei e poi per la Corna. Mia mamma solo per la Maffei prima di sposarsi.

Intervista effettuata a Darzo nell'ottobre del 2010.

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Si trova in Valle del Chiese in Trentino, a metà strada tra Brescia e Madonna di Campiglio.

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