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Marta Beltrami

Marta Beltrami

"Allo stabilimento non facevamo solo le cernitrici, se comandavano bisognava fare anche altri lavori: spazzare il pavimento del mulino, sbattere i sacchi della barite sulla strada contro un muro ed eravamo tutte bianche di polvere"Mi chiamo Marta Beltrami. Sono nata a Darzo nel 1933 e sono sposata con Vigilio Marini. Ho lavorato come cernitrice della barite per la ditta Maffei dal 1950 al 1957.
Ho cominciato quando si è sposata mia sorella più vecchia e ho preso il suo posto. Il lavoro, soprattutto all'inizio era duro.
Mi ricordo il freddo in inverno. Il nastro trasportatore passava e noi donne dovevamo scegliere la barite in base alla qualità: la bella, la brutta e il falso. Per scaldarci avevamo un secchio dietro la schiena con il fuoco: mentre in due sceglievamo, per esempio, la barite super più grossa, saliva il fumo ed eravamo tutte circondate. Avevamo il fazzoletto legato in testa, gli zoccoli di legno e la vestaglia. La stanza dove lavoravamo all'inizio era tutta aperta e vicino a noi c'era la macchina "lavatrice" per lavare la barite. Poi ci hanno trasferito di sopra al chiuso con i vetri, ma dovevamo comunque lasciare tutto aperto perché altrimenti c'era troppo fumo e gli occhi lacrimavano. Sette anni ho fatto così. Guadagnavo pochissimo, adesso non ricordo quanto, ma era comunque importante. Si cercava sempre di fare qualche ora in più per guadagnare qualcosa. In famiglia eravamo tre sorelle e mia mamma vedova perché mio papà è morto che avevo 10 anni. Anche quando andavo a scuola bisognava aiutare con le bestie e in campagna, quindi in maggio e ottobre avevo l'esonero scolastico. Davo tutto alla mamma che comunque faceva la spesa con il libretto a credito e pagava alla fine del mese. Poi mia mamma prendendo un po' ogni tanto dal mio stipendio, mi ha comperato la dote per il matrimonio.
Lavoravo dalle 4.00 di mattina a mezzogiorno o da mezzogiorno alle 20.00. Noi chiamavamo questi turni le "sciolte". Quando si aveva il turno di mattina ci si alzava alle 3,30 d'inverno con il freddo. Poi la strada non era asfaltata e c'era buio. Ci si aspettava una con l'altra ed eravamo circa 10 per turno. Una mattina mi ricordo che stavamo andando in giù, verso la Maffei, e all'altezza della Santèla del Buon Consiglio, c'era un uomo sdraiato che dormiva: che paura avevamo a passare! Allo stabilimento non facevamo solo le cernitrici, se comandavano bisognava fare anche altri lavori: spazzare il pavimento del mulino, sbattere i sacchi della barite sulla strada contro un muro così eravamo tutte bianche di polvere. Durante i turni di lavoro non erano previste pause per fare merenda. Quando avevamo il turno di mattina alle 4.00 mi portavo dietro il termos con il caffè latte e il pane, ma bisognava mangiare mentre si lavorava. Non c'erano neanche le ferie, perché nei mesi invernali quando il lavoro calava semplicemente ti licenziavano e poi, se c'era ancora bisogno, ti riassumevano in primavera.

Mio papà si chiamava Olimpio Beltrami "Tonai" era del 1897 ed è morto nel 1944 per le complicazioni a seguito di un colpo ai reni preso mentre trasportava a valle con le slitte il carbone che facevano in montagna per guadagnare qualcosa di più oltre il lavoro che già faceva. Ha lavorato per la ditta Maffei, ma non so se in miniera o nello stabilimento e non mi ricordo il periodo.

Mia sorella più grande Clelia Beltrami ha lavorato alla Maffei grazie al suo fidanzato Tullio Donati, che poi è diventato suo marito, che lavorava come elettricista e aveva buoni rapporti con il proprietario, il dottor Italo. Poi quando si è sposata sono subentrata io al suo posto.

Anche mia sorella più piccola Olimpia Beltrami ha lavorato come cernitrice alla Maffei.

Intervista effettuata nell’ottobre del 2010 a Darzo.

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