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Maddalena Pasi

Maddalena Pasi

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"Mi ricordo un giorno il signor Vittorio che era il padrone molto buono mi ha visto che raccoglievo con il badile dal pavimento lo sterile. Allora mi ha fatto uscire e davanti al Bèrghem ha detto: “Questa signora non deve più fare niente e se vuole stare a casa, le dai la paga ugualmente.”Sono nata 1933 a Storo e il mio soprannome è la “Lina del Moro”.
Ho dovuto andare a lavorare anche se ero già sposata e avevo tre figli, perché mio marito, Silvio Magagnotti, minatore alla Sigma, era ammalato. Allora hanno provato a farlo lavorare allo stabilimento, ma faceva ancora fatica. Insomma anche se il nostro figlio più piccolo aveva pochi mesi ho detto “provo ad andare io a lavorare”. E allora tutti in paese a parlar male, perchè andavo a lavorare, ma non sapevano che non avevo niente da mangiare.
Sono andata a chiedere al perito Casotti di Cavalese se mi assumeva. Avevo 28 anni e il capo in quegli anni era il Bèrghem, lo chiamavamo così anche se non era il suo nome, una persona che non aveva nessuna pietà per i dipendenti.
Facevo la cernitrice. Al lavoro c'era un nastro dove passava la barite che veniva giù da Pice: era uno strato di sassi bagnati e ghiacciati e c'erano 8 donne e ognuna doveva scegliere un tipo di barite: la super, la prima, e così via e poi doveva metterla in una tramoggia che aveva difronte. C'era molto freddo e passava un tubo caldo e ci si poteva appoggiare le mani per scaldarle un po'. Per arrivare a dove lavoravamo noi bisognava passare il mulino appena entrati, salire una scalinata lunga e passare i piani per distendere la barite ad asciugare e noi eravamo su in cma.
Dopo 4 o 5 anni di lavoro sono rimasta incinta dell'ultimo figlio e ho dovuto smettere nel 1968. Mi ricordo un giorno il signor Vittorio che era il padrone, una persona molto buona, e mi ha vista che raccoglievo con il badile dal pavimento lo sterile. Infatti il materiale che non finiva nella tramoggia, andava per terra e alla fine della giornata, a turno, dovevamo raccoglierlo. Allora mi ha fatto uscire e davanti al Bèrghem ha detto: “Questa signora non deve più fare niente e se vuole stare a casa, le dai la paga ugualmente.” Era una buona persona il signor Vittorio.
Si lavoravano nove ore al giorno, quando serviva si faceva la notte si andava secondo il bisogno che aveva la ditta.
Ma non eravamo trattate bene: per andare al gabinetto bisognava attraversare due tre tramogge e poi non eravamo libere di andarci; il Bèrghem diceva: “Potete andare solo quando è proprio in ultima!”. Poi avevamo un fornelletto per scaldarci, ma il Bèrghem lo lasciava morire.
L'unico momento di svago era sì, la festa di santa Barbara.
Anche noi abbiamo respirato molta polvere che saliva dal mulino di sotto e lavoravamo con le mani bagnate e fredde e adesso ho difficoltà di respirazione.
 
Mio marito Silvio Magagnotti era nato a Mori nel 1923. Ha lavorato a costruire gallerie non minerarie in diversi posti e per la Sigma ha lavorato solo qualche mese nel 1962, perchè poi si è ammalato. E' morto giovane nel 1972.
 
Mio figlio Renato Magagnotti aveva 14 anni quando mi ha detto che non voleva studiare. Allora l'ho portato la mattina presto davanti all'ufficio della Sigma, che allora era già stata acquistata dalla Baritina, sono entrata, tanto ero di casa, e chiedo al signor Zanettin, nipote dell'ingegner Piero se c'è lavoro per lui. Mi risponde che non ce n'è. Mi sembrava impossibile, e allora dico a mio figlio: “Renato, stai qui e quando quel signore va a mangiare, vai anche tu e poi vedrai che al ritorno ti trovano un lavoro perché nessuno ti dà da mangiare gratis”. Dopo un'ora torna mio figlio e mi dice che lo hanno assunto. Dopo quattro anni quando ha compiuto diciotto anni sono andata in ufficio e dalla Vanna, Giovanna Manenti, e le ho detto: ”Sono venuta a licenziare il Renato, perché adesso è maggiorenne e può fare quello che vuole”. Mi hanno guardato come fossi matta. Così poi è arrivato il capo Angelo Delaidini e abbiamo scritto una carta dove io ringraziavo la ditta per aver assunto mio figlio quando ne avevo bisogno e che adesso io lo licenziavo, nel senso che mi toglievo la responsabilità nei suoi confronti: se avesse voluto avrebbe potuto anche andare via e cambiare lavoro.
 
Mio papà Salvatore Pasi era del 1903 e ha lavorato alla Corna poi è morto giovane nel 1946.
 
Mia mamma Teodora Lucchini era del 1905 ed è deceduta nel 1969. E' andata a lavorare al Corna a fare la cernita della barite.
 
Mio fratello Basilio Pasi ha lavorato per la ditta Maffei come minatore all'avanzamento era del 1930 ed è morto nel 1998.
 
Intervista effettuata a Storo, il 23 ottobre 2014

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