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Elvira Marini

Elvira Marini

"La prima paga è stata di 14000 lire e l'ho data alla mia mamma. Me la ricorderò sempre la contavo e ricontavo con quella banconota  grande da 10.000 lire."

Mi chiamo Elvira Marini. Sono nata a Darzo nel 1939 e soprannome della mia famiglia è i “Ferate”.
Ho cominciato a lavorare che avevo 14 anni, nel 1954 perché in casa c'era bisogno di soldi.
Lavoravo alla ditta Maffei come cernitrice. Si facevano i turni dalle 4.00 a mezzogiorno una settimana, e quella dopo dalle 12.00 alle 20.00. Era dura perché c'era freddo e avevamo sempre le mani nell'acqua. Per scaldarci con il piccone rompevamo le assi di legno che trovavamo e accendevamo un piccolo fuoco in un secchio da muratore. Però se lo mettevamo davanti avevamo freddo dietro, e se lo mettevamo dietro avevamo freddo davanti. Eravamo tante ragazze alcune lavoravano la barite da una parte dello stabilimento e altre, con me, lavoravamo il feldspato che veniva da Pinzolo ed aveva molto sterile.
Si aspettava che qualche donna si sposasse per entrare. C'erano delle liste in ufficio; si andava e si lasciava la propria disponibilità. Assumevano in base e a quelle, quando era il nostro turno ci chiamavano.
Mentre aspettavo che mi chiamassero, andavo alla villa dei Maffei a tenere i bambini della cameriera, la signora Amelia sposata Giacometti. Quando lavoravo il pomeriggio allo stabilimento andavo in villa al mattino alle 8:00 e poi mangiavo lì e iniziavo alle 12:00. e viceversa quando avevo il turno al mattina. Avevo 14 anni e facevo quello che potevo fare. Mentre ero lì, davo anche una mano se serviva a fare i mestieri perché c'era sempre gente: i Maffei avevano tre figli e molti ospiti. É stata un'esperienza che mi è servita quando sono andata a servizio prima a Trento e poi a Milano.
Quando mi hanno chiamato in ufficio per assumermi era luglio, e io avevo fatto i 14 anni a maggio. Mi hanno chiesto quanti anni avessi ho risposto “ho 15 anni”, “quando li hai compiuti?” mi chiedono, “Li compio l'anno prossimo” ho risposto dalla paura che non mi prendessero. Ma poi mi hanno assunto lo stesso erano più facili a quei tempi.
Avere un lavoro era fondamentale e bisognava stare attenti a tenerselo stretto: il direttore, Bepi Armani era molto severo e non c'era da scherzare. Siccome poi non avevamo sindacati o altro, stavamo attente a non fare qualcosa di sbagliato.
Il lavoro di cernitrice si fa stando al nastro dove scorrevano i sassi di barite o feldspato che uscivano bagnati dalla lavatrice. Dovevamo togliere il nero, lo scarto e lasciare passare il buono che poi finiva in una carriola in fondo al nastro. C'era un uomo che caricava con il badile la lavatrice, che era un cilindro che girava con l'acqua. Io stavo con altre cernitrici sotto in uno spazio aperto dove lavoravamo il feldspato, altre lavoravano al piano di sopra la barite di Val Cornèra. In quegli anni c'era proprio il boom del lavoro. Poi quando la carriola era piena un altro uomo la portava via a svuotare. Non si poteva neanche alzare gli occhi a dire a quella di fronte “che ore saranno?” il capo, Bepi Armani era lì a sgridarci “Lavorare! Far andar le man!” urlava oppure se ci vedeva scherzare “Non c'è da ridere, c'è da piangere!”.
Facevamo una pausa di dieci minuti per mangiare qualcosa che ci portavamo da casa: un pentolino con il caffè latte che si scaldava su questa “sècia”, il bidone con il fuoco. Se avevamo cominciato alle 4:00 la pausa era verso le 8:00, se facevamo pomeriggio avevamo una pausa verso le 16:00, sempre di pochi minuti.  Poi qualcuna smetteva un po' prima delle 20:00 per pulire la stanza dove lavoravamo, perché bisognava lasciare tutto pulito.
Era molto dura soprattutto alzarsi alle 4:00 di mattina per fortuna abitavo abbastanza vicino allo stabilimento.
Guadagnavo 14.000 lire al mese e poi speravo sempre che mi chiamassero a fare qualche straordinario per aumentare un po'. Le ferie non le facevamo perché eravamo a casa tutto l'inverno. La prima paga me la ricorderò sempre per tutte le volta che l'ho contata e ricontata: con quelle 10.000 lire grandi. Con i soldi della prima paga mia mamma mi ha comperato un materasso di “sègus” [fibra vegetale che si utilizzava per imbottire i materassi al posto della lana che era troppo costosa] che era duro come un sasso, ma sempre meglio delle foglie di granoturco ("scarfòi"): a noi sembrava un gran miglioramento.
Ho lavorato tutto il 1955 e poi nell'aprile del 1956 ero a Trento a servizio. Poi dopo due anni mi hanno chiesto se andavo ancora, ma ho preferito andare a servizio a Milano fino a che mi sono sposata anche perché al mio posto avevano assunto mia mamma e due stipendi facevano comodo.

Mia mamma si chiamava Rita Marini "Ferate" era nata nel 1912 ed è deceduta nel 1978. Ha lavorato alla Maffei fino al 1965 ed è stata l'ultima cernitrice che hanno licenziato dopo che hanno chiuso Val Cornèra perché è rimasta a pulire tutto lo stabilimento dove lavoravano la barite e poi hanno cambiato lavorazioni.
 
Intervista effettuata a Storo,  il 6 novembre  2014.

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