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Inerio Cherubini

Inerio Cherubini

"Negli anni '90 a Marigole eravamo rimasti in pochi, perché la barite era sempre meno, ma a anche perché con i macchinari due coppie riuscivano a fare il lavoro che prima, a mano, facevano in venti."

Mi chiamo Inerio Cherubini. Sono nato a Darzo nel 1946 e ho cominciato la lavorare nella miniera di Marigole nel 1964, lo stesso anno che ha cominciato il nostro perito Tanghetti.

Sono andato a chiedere lavoro alla ditta Corna Pellegrini, si chiamava così all'epoca, perché prima lavoravo in una ditta dove guadagnavo poco e speravo di prendere di più. Sono andato in ufficio a parlare direttamente con l'ingegner Pietro Corna Pellegrini che mi ha assunto subito.
Mi ricordo che il primo giorno di lavoro mi hanno messo in un camerone, insieme a due operai più anziani a separare la barite dallo sterile. Poi, pian piano, mi hanno messo in coppia con un altro a fare il minatore nelle gallerie. Dopo qualche anno, mi hanno fatto guardia giurata per l'esplosivo. In quegli anni, lavorare per le ditte minerarie, era l'unico impiego che si poteva trovare nelle nostre zone, senza dove andare lontano. Poi nel 1968, mi ricordo, che è rimasto ucciso il povero Gelani: per me è stato un fatto importante che ha lasciato il segno, perché da lì ho deciso di lasciare quel lavoro. Quando è successo l'incidente, Gelani lavorava al minerale nella galleria, io allo sterile per riempire le gallerie. Non era ancora la ripiena cementata, ma una ripiena con lo sterile senza cemento. Purtroppo gli è caduto addosso un masso che lo ha preso in pieno. La disgrazia è successa di venerdì, e quella domenica avrei dovuto stare su a guardia della polveriera, ma ho mandato su mio papà, e dopo qualche tempo scappai a fare un altro lavoro. Andai a lavorare con l'impresa Collini a Storo per costruire la galleria della centrale elettrica. Sono rimasto lì un anno. Poi il mio caro amico Tanghetti ha insistito e mi ha convinto di tornare alla Baritina. Sono stato assunto un'altra volta nel 1969 e mi hanno mandato ad aprire una nuova miniera nel monte Elto in Val Camonica. Ero insieme a Nino di soprannome “Gambì” che abitava alla Casa Rossa di Storo. Lì siamo rimasti a lavorare l'estate e d'inverno siamo tornati a Darzo. Nel frattempo abbiamo aperto un'altra cava con la Baritina sulla Corna Bianca; non si cavava barite, ma un altro minerale, dolomite si chiamava, che forse la usavano per fare i blocchi per gli alti forni delle acciaierie. Poi sono successi degli scioperi per questioni di salario: allora lo stesso anno, mi pare, me ne sono andato a lavorare nell'acciaieria di Odolo. Durante lo sciopero avevamo abbandonato il cantiere di Marìgole, eravamo su una squadra di giovani sui vent'anni e molti non sono più tornati, mentre gli anziani li hanno praticamente recuperati tutti. Da dire poi che la protesta è nata più dagli anziani che da noi giovani. Non so che risultato ha avuto questo sciopero. In quegli anni lavoravo con un certo Bagozzi e con Tarolli di Castel Condino, Berardi Riccardo, e suo fratello Renato, con Pietro “Peletta”, poi con mio fratello Luigi. All'epoca lavoravamo in quattro della mia famiglia: mio papà faceva il mugnaio allo stabilimento, mia sorella faceva la cernitrice e fratello Luigi ed io in miniera.
Era la seconda volta che mi licenziavo. Dopo un periodo, non mi ricordo bene, era successo qualcosa all'acciaieria e sono tornato a lavorare alla Baritina: di questo devo ringraziare l'ingegner Corna perché mi hanno accettato anche se me n'ero andato. Sono rimasto lì qualche tempo e poi sono andato via di nuovo; il motivo non era il fatto che avevo paura di fare il minatore, oppure non mi trovavo bene con i colleghi. Il motivo era il fatto che si guadagnava troppo poco. Nel 1968 mi ricordo che prendevo come operaio specializzato, 300.000 lire, ma fuori, ad esempio in acciaieria si prendeva più del doppio, circa 700.000 lire. Da lì sono andato all'estero, nelle imprese multinazionali edili come l'Impregilo e l'Italcementi che costruivano dighe o grandi strutture in Iraq, Africa, Russia. Dopo questo periodo, con le stesse ditte sono tornato a lavorare in Italia, in Calabria. Quando ad un certo punto nel 1994-95 mia moglie si è ammalata gravemente e non potevo più stare lontano da casa. Quindi, mi sono rivolto all'ingegner Pietro Corna chiedendo se mi poteva assumere ancora una volta visto che non avevo ancora raggiunto l'età della pensione. Mi ha assunto di nuovo dicendomi “Ben tornato figliol prodigo!”. Certo devo ringraziare l'ingegnere e il perito Tanghetti perché mia moglie è rimasta malata per sette anni e se non mi avessero assunto, non so come avrei fatto. Addirittura mi hanno tenuto il posto quando ho dovuto restare sei mesi senza andare a lavorare. Rimasi, quindi, altri dieci anni a lavorare in galleria fino alla pensione. Sono sempre andato via dalla Mineraria per i soldi che erano pochi, il lavoro in sé non mi dispiaceva. Ero minatore specializzato: lavoravo nelle perforazioni, ero guardia giurata alla polveriera, facevo i fornelli. Diciamo che i lavori pericolosi li ho fatti tutti. Tante volte lavoravamo a cottimo quando la ditta aveva bisogno di fare in fretta. Mi ricordo che una volta dovevamo fare un fornello dal ribasso giù in fondo fino alla Santa Barbara; prendevamo 16.000 lire al metro lineare per una circonferenza di due metri. Oltre alle 8 ore del contratto, se non eravamo stanchi si tornava in galleria alla sera e quel lavoro in più ci veniva pagato a metro non a giornata. Oppure, altre volte prendevamo una giornata doppia se la sera dopo lavoro stavamo a riempire una tramoggia di quaranta beccacce in cinque ore di lavoro. Allora eravamo giovani e pieni di energia. Un lavoro particolare che facevo erano le armature per costruire le gallerie artificiali nello sterile: costruivamo dei quadri con legni di spessore di trenta, quaranta centimetri, poi si riempiva di sterile lo spazio intorno. Questo si faceva per andare e venire dalla miniera in sicurezza. Probabilmente alla Mineraria mi hanno sempre ripreso perché riconoscevano quello che sapevo fare. Insomma andando e tornando ho fatto 18 anni alla Baritina e ogni volta notavo dei miglioramenti. In particolare, l'ultima volta negli anni '90 la cosa migliore che non sembrava neanche vero, era la ripiena cementata per riempire le gallerie una volta estratto tutto il minerale. Questo rendeva il lavoro più sicuro; poi c'erano le pale meccaniche e non più il badile e la carriola. Per il resto il procedimento di lavoro è rimasto lo stesso, come anche le paghe che erano sempre al limite. Invece, con i colleghi mi sono sempre trovato bene anche se nel frattempo erano cambiati tutti, rimaneva solo Tanghetti. Una cosa che era cambiata molto era il numero di minatori e di operai: negli anni '60 saranno stati anche una trentina, poi negli ultimi anni siamo rimasti in quattro o cinque, un po' perché la barite era sempre meno, un po' e perché con i macchinari due coppie riuscivano a fare il lavoro che prima, a mano, facevano in venti

Mio papà si chiamava Angelo Cherubini era del 1911 ed è morto nel 1990. Ha iniziato a lavorare per la Corna Pellegrini appena dopo la guerra. Ha lavorato nello stabilimento come mugnaio, non è mai stato in galleria e non avrebbe voluto che io ci andassi per il pericolo e la polvere anche se mi sa che di polvere ne mangiavano più loro nello stabilimento che noi in galleria.

Mia sorella si chiama Giovanna Cherubini è nata nel 1948. Ha lavorato come cernitrice per la ditta Corna. Ha cominciato da giovane e ha lavorato fino all'inizio degli anni '70.

Mio fratello è del 1949 e si chiama Luigi Cherubini. Ha lavorato circa un anno o due intorno al 1968 in miniera con la Mineraria Baritina, poi è andato via perché fare il minatore non gli piaceva.


Intervista raccolta a Lodrone il 30 maggio 2013

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