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Domenico Piccinelli

Domenico Piccinelli

"Nel 1953, una volta sposato, ho ritirato per la prima volta la paga, perché fino ad allora le aveva sempre ritirate mio papà. Si usava così allora, fino cha abitavi in famiglia i soldi che guadagnavi erano per la famiglia e noi eravamo in tanti e tutti aiutavano."

Mi chiamo Domenico Piccinelli. Sono nato a Pisogne in provincia di Brescia nel 1925, sono sposato e ho tre figli. Abito a Darzo dal 1938, avevo tredici anni, perché mio papà Giuseppe Piccinelli lavorava come sorvegliante della miniera, che s’intende il capo degli operai che lavoravano nella miniera per la ditta Macario a Dospré. La nostra era una famiglia numerosa. Eravamo otto figli e tre dei miei fratelli hanno lavorato anche loro per le ditte minerarie: Attilio Piccinelli del 1924 ha lavorato con me e il papà, Luigi Piccinelli del 1929, e per un breve periodo anche Giovanni Piccinelli del 1927.
Appena arrivato qui ho lavorato per la ditta Maffei. Un giorno mi hanno chiamato a fare il soldato, ma la ditta mi ha fatto una carta per l’esonero e come a me, ad altri quattro operai. Siccome la Maffei faceva i prismi per le zavorre delle navi da guerra con 26 kg di barite e 26 kg di cemento, e poi si metteva la maniglia, il mio lavoro era considerato già come un impegno militare. Poi mio papà in quegli anni aveva cambiato e lavorava per la ditta Corna, sempre come sorvegliante degli operai della miniera, ma in Marìgole. Siccome per le feste dei Santi e dei Morti tornava a casa, il datore di lavoro gli ha proposto di mandare su me in sostituzione. Così nel 1943 ho lasciato la Maffei e ho cominciato a lavorare a fianco di mio papà per la ditta Corna, dove sono rimasto fino al 1974 quando sono andato in pensione.
Avevo diciotto anni. Ho cominciato facendo il sorvegliante, poi per alcuni anni preparavo anche i ferri per la miniera, ma mi fermavo spesso a guardare come si batteva la mazza per imparare il mestiere. Quando lavoravo dal Maffei guadagnavo 57 centesimi all’ora e 80 centesimi dal Corna che dopo qualche anno, nel 1945-46 sono diventati una lira. Negli anni Cinquanta l’ingegner Corna ho introdotto la rivoltella a secco che funzionava su un piedistallo con la punta azionata dall’aria compressa e non si batteva più a mano. In quegli anni gli operai avevano delle mascherine, ma c’era troppa polvere e in tanti sono morti per la silicosi. Poi hanno messo la rivoltella ad acqua e così il lavoro era più bello, perché l’acqua teneva giù la polvere. Quindi alla fine la mazza non si è più usata. Quando, se non ricordo male, nel 1952 mio papà è andato in pensione sono entrato io al suo posto, perché mio papà mi aveva insegnato il lavoro nei dieci anni che abbiamo lavorato insieme. Così poi ho fatto per vent'anni il sorvegliante della miniera.
Il mio lavoro era quello di destinare ogni mattina un compito agli operai secondo l’avanzamento della miniera: se uno doveva fare le armature, se uno doveva preparare i fori degli avanzamenti. Oppure controllare e preparare l’esplosivo che gli operai dovevano usare. Tutti lavori così, insomma. Nel 1953 mi sono sposato e la prima paga che ho ritirato io, perché fino ad allora le aveva sempre ritirate mio papà, era di 25.000 lire. Si usava così allora, fino cha abitavi in famiglia i soldi che guadagnavi erano per la famiglia e noi eravamo in tanti e tutti aiutavano. In quegli anni erano bei soldi. Dopo da lì la paga è sempre aumentata, e sono andato in pensione che guadagnavo 250.000 lire al mese.
I primi dieci anni quando ancora non c’era l’ingegner Piero era dura lavorare su in miniera. Salivamo a piedi il lunedì mattina col buio e d’inverno a mezza montagna la neve arrivava alle ginocchia. Così arrivavamo su tutti bagnati. Asciugavamo le cose al fuoco che era uno solo ma la roba non si asciugava mai bene. Poi bisognava lasciare aperte le finestre e camminare bassi per il fumo. Non c’era ancora la mensa e neanche il riscaldamento nelle camere. Ognuno doveva farsi da mangiare per sé, ma c’era un fuoco solo. Mio papà, mio fratello ed io avevamo la nostra camera, anni dopo anche una nostra cucina. Infatti d'estate veniva su anche mia mamma con mia sorella più piccola Agnese Piccinelli fino ad ottobre. Quando non c'era ancora la mensa, ci facevamo la minestra per la sera che andava bene per due giorni, così c’era spazio anche per gli altri di farsi da mangiare. Comunque la sera si mangiava sempre riscaldato. Mentre a mezzogiorno un operaio usciva prima e metteva su l’acqua per la polenta per tutti che si mangiava insieme al formaggio o al salame, oppure al contorno che le mogli o le mamme mandavano su con la teleferica. Fino al mercoledì bastava quello che ci portavamo su con lo zaino il lunedì. Poi il mercoledì arrivava da mangiare dalle famiglie con la teleferica per il mercoledì, il giovedì e il venerdì. Il sabato si smetteva di lavorare alle 11.00 e alle 12.30 eravamo a casa a mangiare. Per lavarsi c’era l’acqua della fontana all’aperto e per far da mangiare si prendeva l’acqua con un secchio dal pozzo profondo dove c’era la sorgente. Quando è arrivato l’ingegner Piero hanno messo la mensa con il cuoco, la cucina economica e le stufe per gli operai. Così quando gli operai arrivavano si trovavano il mangiare pronto e così si è cominciato ad andare proprio bene.
Prima che arrivasse l’ingegner Piero la miniera la portavano avanti il signor Vittorio e il signor Emilio Corna e saliva da Trento ogni 15 giorni un certo ingegner Barucco e si fermava uno o due giorni. Fosse stato per lui, se non veniva l’ingegner Piero Corna, voleva chiudere la miniera perché il capo che c’era su prima lavorava a cottimo con tre e quattro operai che scavano più barite possibile per guadagnare e stavano rovinando la miniera, scavando cameroni alti sei metri e larghi dieci. Quando questo Barucco ha visto il mestiere fatto così voleva chiudere, secondo lui non si poteva più andare avanti, perché c’era il pericolo dei crolli. Invece con l’ingegnere Corna, il materiale di scarto si usava per fare le ripiene e così i cameroni si riempivano e non c’era più pericolo.
Con i capi e i proprietari è sempre andato tutto bene. Spesso l'’ingegnere mi chiamava al telefono e mi chiedeva come andava il lavoro su, e io gli rispondevo che andava bene e allora lui diceva: "Allora vengo la settimana prossima”, perché non era sempre su con noi.
Dopo, non ricordo l’anno, hanno aperto la strada, che l’aveva disegnata Attilio Zanetti come geometra, e allora ci portavano su in Marìgole da Faserno con la Campagnola e poi facevamo l’ultimo pezzo a piedi e se c’era la neve ci si metteva anche tre quarti d’ora buoni. Mi ricordo che salivamo anche in dieci o dodici sulla Campagnola. Madonna! Alcuni salivano anche sul cofano davanti. Erano anni un po’ magri. Dopo negli ultimi tempi con la strada molti operai hanno fatto la patente e salivano con la macchina.
Mentre ero su io ho visto un minatore morire per un sasso che si è staccato dal tetto della galleria. Sarà stato di dieci quintali e lui non è arrivato a scappare. Il sasso lo ha solo sfiorato, ma è bastato. La verità è che io ero stato malato e avevo istruito come fare il lavoro che però è stato fatto alla viceversa. Alla mattina che tornavo al lavoro sono andato a vedere e mi sono accorto che il lavoro non era stato fatto bene. Si vedeva che c’erano dei sassi poco sicuri. Allora dico: “Dai, vieni via”, e allora lui mi dice “Hai paura tu?”, e nel mentre batte sulla parete e viene giù il sasso. Io ero lì a un metro. È morto mentre lo portavamo fuori. Mentre ero già in pensione so di un altro operaio che ha avuto un incidente in galleria ed è morto che era ricoverato all’ospedale. La situazione di maggior pericolo era quando franava, perché era difficile riuscire a fermarle le frane, ma in generale si andava abbastanza bene senza troppi incidenti e pericoli.

Intervista effettuata nel mese di dicembre del 2010 a Darzo.

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Darzo è un paesino di circa 750 abitanti, frazione di Storo, vicino al Lago di Garda e alle sponde del Lago d'Idro.

Si trova in Valle del Chiese in Trentino, a metà strada tra Brescia e Madonna di Campiglio.

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