"Mentre lavoravo alla teleferica un bambino delle colonia che c’era a Faserno si mette a fissarmi e quando è stata l'ora di andare via mi ha detto: “Ti omän, giöghet sèmpar così tüt al dì?" Quando lo incontro me lo dice ancora per ridere perché io non ero un uomo avevo solo 18 anni."
Mi chiamo Salvatore Moneghini. Sono nato a Storo nel 1946 e il mio soprannome è “Smaltù”. Sono sposato con Angela Gelpi e abbiamo due figli.
Sono andato su a Pice a lavorare quando avevo 16 anni, il 19 agosto del 1963. Sono rimasto orfano di padre e lavoravo già un un'officina meccanica ma non guadagnavo niente e allora sono andato in miniera. C'era su mio zio, Albino Moneghini che faceva il minatore e mi ha detto “vieni su con me che c'è lavoro”. Ho cominciato come carrellista, cale a dire portavo dentro il carrello spingendolo sui binari per 300 metri nella galleria lo caricavo sotto la tramoggia poi salivo su e uscivo fino alla tramoggia della teleferica. Facevamo 40 vagoni al giorno. Dopo due anni di questo lavoro ho preso il posto in teleferica che è stato il mio lavoro per 11 anni.
La teleferica è come una seggiovia andava a peso: le casse piene scendevano e spingevano su quelle vuote dallo stabilimento. Per far funzionare la teleferica a mano: le casse erano di legno e il peso aumentava quando pioveva. C'erano due carrucole prendevo la cassa e la mettevo dall'altra parte, prendevo giù una carrucola e la mettevo davanti prendevo giù l'altra e la mettevo dietro mettevo sotto la cassa, aprivo la tramoggia a mano la cassa si riempiva di materiale, andavo nella cabina di comando mollavo il volante che toglieva il freno e la facevo andare giù. Comandava io che era in cima perché ci mettevo più io a caricare e scaricare. Le casse piene scendevano e facevano salire quelle vuote. Lo stesso lavoro dovevano fare anche giù in fondo allo stabilimento. C'erano 10 casse anche andavano giù e 10 che salivano. La teleferica in quegli anni prima che facessero la strada serviva anche per portare il legname per puntellare le gallerie quasi ogni settimana bisognava far andare la teleferica una giornata per caricare legname. Per comunicare da un capo all'altro della teleferica si usava un telefono ancora di quelli con la manovella oppure dei segnali convenuti per capire quando era ora di mollare il freno e se dovevo mollare il freno piano perché magari in fondo caricavano del legname lungo e bisognava far partire la cassa lentamente mi dava due colpi, un colpo lungo voleva dire lasciare andare. Poi quando c'era il temporale vedevo le fiamme e ne ho prese di scosse. La teleferica si fermava anche a Pice e comunicavo anche con il teleferista che stava lì e quindi era tutto un lavoro anche capire in modo giusto i segnali che mi arrivavano da sotto quando bisognava far salire il materiale per le gallerie. Così sono passati 13 anni abbastanza belli: lavorando sempre 10 ore al giorno dalle 7:00 a mezzogiorno e dalle 14.00 alle 19.00, d'estate e d'inverno sempre. Qualche giorno si stava a casa, a Natale e così una o due settimane ad agosto, ma altrimenti si lavorava sempre.
Questa teleferica non era molto moderna e bisognava fermarla, spostare la cassa e le carrucole. Così ad un certo punto l'hanno cambiata e sostituita con una che andava sempre e non aveva bisogno di qualcuno che stesse sempre lì,e poi aveva le casse più grandi e si poteva por giù più materiale. Ho cominciato a fare le manutenzioni anche perché nel 1972 mio zio Albino ha cambiato lavoro e ho preso il suo poso. Quindi mentre la teleferica andava io potevo andare a fare le manutenzioni che servivano ai minatori come ad esempio preparare l'esplosivo, la miccia con detonatore, le cambre, insomma quello che serviva. Facevo le manutenzioni anche dentro le gallerie: mettevo giù nuove tubazioni dell'aria compressa e l'acqua, allungavo i binari man mano che le gallerie procedevano. L'acqua serviva per le forature altrimenti veniva su un polverone che era molto pericoloso per la silicosi.
Dormivamo a Pice dove c'era su un cantiere bellissimo, molto più bello di quello della Baritina. Il posto era piano e largo: nell'edificio della mensa c'era al piano terra la cucina e sopra il dormitorio dove ognuno aveva la sua camera con la branda e l'armadio, mi pare ci fossero 14 camere. Poi sempre lì c'erano ancora due case con i letti anche lì. I bagni non c'erano. Alla fine li hanno fatti ma non sono mai andati bene. Diciamo che c'era il bagno “a bosco” con una struttura con il gabinetto e basta. Dentro la casa cera solo il lavandino. Il dormitorio e la mensa fino al 1966 non erano serviti da una strada, ma solo da un sentiero che partiva da Faserno. Quindi quando salivo a lavorare avevo una moto e la lasciavo dove finiva la strada e proseguivo a piedi. Per andare in galleria e alla teleferica bisognava salire ancora e questa strada la facevamo per quattro volte al giorno. D'inverno ovviamente quando si scendeva alle 19.00 era già buio e camminavamo con la “lampa” a carburo. I minatori in quella stagione vedevano la luce si e no per due ore al giorno solo nella pausa del pranzo perché entravano la mattina che era ancora scuro e uscivano che era già notte. Due anni fa mi ha chiamato il Tanghetti della Mineraria Baritina perché non sapeva dove erano le gallerie della Sigma e sono andato su io a dirgli dove erano. Adesso sono tutte crollate e chiuse. Voleva vedere se erano in sicurezza e sono venute anche due da Trento del Distretto ma non si va dentro. Anche i dormitori e la mensa sono tutti in rovina.
Ho fatto il teleferista e il manutentore fino a quando la ditta Sigma ha chiuso il 31 gennaio del 1976 e poi sono passato alla Mineraria Baritina e ho lavorati lì per altri 23 anni. Lì ho lavorato nell'officina meccanica ma se serviva qualcuno in teleferica andavo su io. In galleria entravo se c'erano da fare delle riparazioni, ad esempio alla pala o altre manutenzioni. Il minatore proprio non l'ho mai fatto.
La cosa che ricordo come più pesante era il fatto che lavoravo 10 ore al giorno e avevo solo 16 anni. Poi ricordo il freddo d'inverno, perché allora la neve veniva tanta mica come adesso: andavi a dormire la sera che era sereno e ti svegliavi con un metro di neve. Siccome da dove si dormiva al cantiere di lavoro bisognava camminare per 20 minuti bisognava fare la strada nella neve: uno andava avanti e gli altri dietro e poi ci si dava il cambio.
Per un ragazzino di 16 anni era una vita dura: il lunedì si saliva alle 5.00 e a me dispiaceva perché in quegli anni a Storo c'era il cinema Concordia e alla domenica andavo con i miei amici alla sera ma loro dopo andavano a far festa mentre io dovevo tornare a dormire perché dovevo alzarmi presto; c'era la Campagnola che ci portava su. I primi tempi si tornava in paese il sabato, poi, mi pare dal 1968, si lavorava solo fino al venerdì. Tante volte però anche negli anni successivi se mi chiamava il capo restavo a far andare la teleferica anche il sabato: mi preparavano il materiale in miniera e io lo mandavo giù allo stabilimento così lo trovavano pronto il lunedì.
La paga era abbastanza buona: lavorando 10 ore al giorno e qualche sabato si prendeva bene. Sono riuscito a costruire la casa. Comunque, una volta adattato, mi sono trovato bene e sono rimasto lì altrimenti in quegli anni le alternative c'erano e tante.
L'ambiente di lavoro con i colleghi era bello eravamo su anche il 35. Andavamo tutti d'accordo. I ricordo di tanti e la maggior parte di loro è deceduta: Vincenzo Foglio di Bagolino che poi ha fatto anche il capo, Pietro Mezzi che stava alla teleferica nello stabilimento. Mi ricordo che il lunedì si cominciava alle 7:00 e io telefonavo allo stabilimento per vedere se c'era. Dicevo “Pronto, pronto?” e lui mi rispondeva “Salvatore piano” perché doveva ancora andare a dormire, siccome a lui piaceva stare fuori alla domenica con la compagnia perché era molto bravo a cantare, e così fino a mezzogiorno si lavorava con calma. Però il capo voleva il lavoro fatto e allora dopo mezzogiorno si andava in fretta e facevamo 150 casse la giorno, ogni cassa era 2 quintali e mezzo.
Mi ricordo che in quegli anni a Faserno c'era una colonia estiva e venivano a trovarmi una volta all'anno per vedere la miniera e la teleferica. Una volta un bambino viene e sta lì a guardarmi e quando è stata l'ora di andare via mi ha detto: “Ti omän, giöghet sèmpar così tüt al dì?” Quando lo incontro me lo dice ancora per ridere perché io non ero un uomo avevo solo 18 anni.
Una volta passati alla Baritina, nel 1976 ho fatto il meccanico per 10 anni nella ditta che si trovava nello stabilimento e che produceva sedie, attaccapanni e porta vestiti in tubo di ferro piegato e saldato. Dopo che la Sigma ha chiuso nel dicembre del 1975 e prima di passare alla Baritina insieme ad altri tre sono stato su a Pice a fare il guardiano delle gallerie. Poi sono stato assunto nel dicembre del 1976 alla Baritina. Comunque se serviva qualcuno in emergenza per far andare la teleferica mi chiamano perché sapevo bene come funzionava visto che la Mineraria quando ha comperato la Sigma ha smontato la teleferica e l'ha portata nel suo stabilimento. La sede dell'impresa era nel capannone che si vede lungo la strada. La ditta andava bene e lavoro ce n'era e siamo andati anche a fare delle fiere con un nostro stand di prodotti e il proprietario era il nipote dell'ingegner Piero Corna Pellegrini proprietario della Mineraria Baritina che si chiamava Zanettin di cognome. Dei dipendenti della Sigma la maggior parte è andata allo stabilimento della Mineraria, altri in galleria a Marigole e alcuni nella ditta che produceva sedie.
Nel 1986 questa produzione è finita e sono andato nello stabilimento della Mineraria a Darzo a lavorare alle “macchinette” che separavano la barite dalla scarto: erano dei setacci che funzionavano con l'acqua. Siccome la barite è più pesante dello sterile questa va a fondo. Ogni 10 minuti andavano ricaricate. Però poi facevo manutenzione, un po' di tutto quanto serviva. Ho conosciuto bene l'ingegner Piero sono andato anche a Brescia e a Pisogne al suo funerale. Alla Sigma il lavoro era organizzato meglio, aveva macchinari migliori ma la paga era al stessa. Con la Sigma sono andato anche a fare delle ricerche minerarie a S. Candido fino al confine con l'Austria a cercare un materiale che si vedeva solo al buio, la fluorite, con una lampada speciale. Per conto della ditta sono andato in Piemonte insieme al Dino Bernardi per cercare oro in un torrente. Ma la Sigma aveva tante miniere che poi ha acquisito la Mineraria, una in provincia di Como e una in Val Camonica dove ero stato mandato a fare manutenzione alla teleferica.
Ho lavorato a Darzo in Mineraria Baritina fino al 1999 quando sono andato in pensione e sono stato l'ultimo degli “Smaltù” a lavorare per le ditte minerarie.
Mio nonno Salvatore Moneghini era del 1901 e faceva il teleferista per la Sigma per 25 anni fino alla pensione. Prima aveva lavorato in una miniera in Lombardia è deceduto nel 1978 per la silicosi.
Mio papà si chiamava Battista Moneghini ed era del 1923. Aveva lavorato dal 1959 al 1963 anni a costruire teleferiche ed è morto per malattia la primavera del 1963. Io ho cominciato nell'agosto dello stesso anno.
Mio zio Albino Moneghini era del 1937 ed è deceduto nel 2008. Faceva il manutentore per la miniera della Sigma: forgiava i ferri da mina, faceva le “cambre” per le armature di legno delle gallerie, tutto a mano con l'incudine e il martello. Anch'io ho fatto quei lavori quando è stata messa la teleferica automatica e mio zio è andato a lavorare da un'altra parte lasciandomi il posto nel 1973.
Intervista effettuata a Storo il 12 aprile 2014.
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