"Ho cominciato a lavorare in miniera nel 1957 che avevo 22 anni e ho fatto il minatore. Ci hanno buttati dentro subito e i primi tempi era dura: me lo sognavo anche la notte."
Sono nato a Storo nel 1934 e il soprannome della mia famiglia è “Basenél”.
Ho cominciato a lavorare in miniera per la ditta Sigma nel 1957 che avevo 22 anni e ho fatto il minatore. Ci hanno buttati dentro subito e i primi tempi era dura: me lo sognavo anche la notte. Il lavoro l'ho trovato tramite mio papà che lavorava lì già da trent'anni come minatore. Il lavoro brutto che mi ricordo era quello di scavare i camini che andavano su dritti e bisognava portarsi dietro la tramoggia in legno e hiudere con le assi le pareti proprio come un camino per metterci poi le scale. Mentre si costruiva questo bisognava, impuntarsi con i piedi e con le braccia in alto, battere le pareti per far scendere il materiale. Un altro lavoro che facevo era portare fuori il materiale con il vagone e una volta si è girato, perché era basculante, mi ha buttato per terra e mi sono rotto una gamba.
Dormivamo su a Pice dove c'era una baracca in cemento, fredda; si saliva al lunedì e si scendeva il venerdì sera alle quattro del pomeriggio, perché ogni giorno si faceva un'ora in più per avere il sabato libero. Salivamo su con una corriera che ci prendeva davanti al bar Centrale e ci portava fino alla curva di Faserno e poi si andava dentro a piedi. Eravamo circa una trentina.
I primi tempi il mio compagno era Silvio Zontini detto “Panina” e dopo mi hanno messo insieme ad un giovane della mia età che si chiama Battista Bonomini. Mi ricordo che con il Silvio ce la siamo vista brutta una volta: stavamo lavorando dentro un camerone abbiamo sparato le mine e sono salito su una scala a pioli sulla parete per disgaggiare le rocce pericolanti. In quella Silvio è uscito per ricaricare l'acqua della lampada a carburo, ma io non l'ho visto. Un bel momento è partito tutto d'un colpo: la montagna è venuta giù e io sono rimasto per pochi centimetri illeso. Mi giro e chiamo “Silvio!” non mi risponde e allora penso che è rimasto sotto. Nel frattempo altri due compagni che lavoravano lì vicino ad un altro avanzamento sono arrivati di corsa a vedere cosa era successo e arriva anche Silvio sano e salvo. Per fortuna era uscito altrimenti ci restava secco. Erano tempi duri e si lavorava con la paura del materiale che veniva giù.
Per mangiare dovevamo arrangiarci: verso le undici un minatore, Pasi si chiamava adesso è morto, usciva dalla galleria e si metteva a far la polenta per tutti e insieme mangiavamo quello che ci eravamo portati da casa. La sera mangiavamo la minestra che ci mandavano su da casa e che doveva durare qualche giorno. Non era rose e fiori. La mensa l'hanno fatta dopo che ce ne siamo andati.
Abbiamo fatto sciopero nel 1959: siamo andati su un lunedì mattina e siccome avevamo fatto delle rimostranze al padrone tramite i sindacati, il dottor Cima e il perito erano già lì ad aspettarci. Noi siamo arrivati, abbiamo appoggiato lo zaino con le nostre cose sopra il tavolo e ci siamo seduti intorno. Allora il padrone ci ha detto “le cose stanno così, altrimenti potete andare a casa”. Come aver preso una puntura di insetto, tutti insieme senza metterci d'accordo, ci siamo alzati, abbiamo preso i nostri zaini e siamo scesi e non siamo più tornati. Solo mio papà è ritornato perché gli mancava un anno per andare in pensione. Il dottor Cima non immaginava che avremmo fatto così. Protestavamo sia per la paga che era poca, prendevamo 29.000 lire al mese, che per le condizioni in cui dovevamo vivere. Nei giorni successivi il perito Dino Bernardi, il figlio del podestà, ha girato casa per casa a chiedere se tornavamo su. Ma io dopo io sono andato a lavorare a Campiglio dove ho portato anche la famiglia e ci sono rimasto per 38 anni. Lavoravo in una ditta edile che ha ingrandito fino ai sei piani l'hotel Savoia che era stato comperato dai Maffei.
Non sono tornato perché non mi piaceva stare in miniera era pericoloso e devo dire che ripensandoci ho sbagliato ad ascoltare mio papà, dovevo restare alla Salcis la ditta dove lavoravo prima e prendevo 45.000 lire al mese. Siccome però avrei dovuto spostarmi perché i lavori della diga di Daone erano finiti, ho preferito lavorare vicino casa e ho scelto la Sigma.
Mio papà si chiama Angelo Grassi "Basenél" era nato nel 1901 ed è deceduto nel 1983. Ha lavorato per trent'anni in miniera per la ditta Sigma dove faceva i lavori più pericolosi: una volta è rimasto chiuso per tre giorni in galleria a causa di un crollo. Dove non eravamo capaci di andare noi, lui riusciva a passare. Comunque non si è preso nessuna malattia e non si è mai schiacciato neanche un dito. Lui insegnava a tutti noi giovani come fare: lavorate lentamente, mettete poca miccia, infatti aveva molta esperienza. Fino al 1945 lavorava per la ditta Corna, poi è passato alla Sigma perché davano qualche etto di farina per la polenta. Tanta era la miseria in quegli anni. Poi quando era alla Corna tornava a casa solo una volta ogni 15 giorni perché faceva la guardia alla polveriera. Mi ricordo che qualche volta mi portava su con lui a fare al guardia al cantiere, io ero un ragazzino. Il cantiere della Corma era più bello di quello della Sigma, avevano un alloggio che assomigliava di più ad una casa rispetto al nostro. A lui fare il minatore piaceva molto non si è mai lamentato di niente e nessuno.
Mio fratello si chiamava Luigi Grassi era nato nel 1925 ed è deceduto nel 1990. Anche lui ha lavorato alla Sigma perché mio papà lo ha introdotto. Faceva il minatore dall'inizio degli anni '50. Lavorava agli avanzamenti, ma poi si è ammalato di cuore, forse per gli sforzi che faceva e non respirava più così ha smesso. Quando è morto lui in pochi mesi se ne sono andati altri tre per la silicosi.
Intervista raccolta a Storo, il 23 ottobre 2014
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