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Marino Giacometti

Marino Giacometti

"Mi ricordo che portavo la merenda a mio padre che faceva il mugnaio e l'unica parte del corpo senza polvere erano gli occhi quando si toglieva la maschera."

Mi chiamo Marino Giacometti e sono nato nel 1938 a Darzo, il soprannome della mia famiglia è ”Frèc”.
Ho cominciato a lavorare per la ditta Maffei a Giustino nella cava di feldspato. Ho trovato questo lavoro perché mio papà Bernardino ”Dino” già lavorava alla Maffei una volta tornato dalla guerra e allora alla ditta conoscevano da dove venivo quando ho parlato con il capo personale il ragionier Girardini e con il signor direttore che mi hanno offerto subito di andare a Giustino. Avevo 17 anni e facevo il "bòcia", vale a dire l'assistente dei minatori: aiutavo a preparare i ferri da mina, le pistole, le perforatrici ad acqua, e tutto quello che serviva per preparare la volata. Poi una volta fatta l'esplosione bisognava recuperare il materiale con i vagoncini e portare in discarica lo sterile. Partivo il lunedì mattina con gli altri operai dallo stabilimento di Darzo con un camion della Ditta, lo stesso che trasportava il feldspato, ricordo Robusti Giuseppe e Cominotti Costante che erano con me, e si andava tutti su questo camion del "Dòri" [Beltrami Isidoro]. Stavo a Giustino tutta la settimana fino al sabato poi tornavo a casa e lunedì ripartivo. Capitava che quando nel filone vedevano che c'era una parte bianca con del materiale e cominciavano a forare, facevano un tunnel stretto per vedere se il filone portava ad un giacimento più grande. Siccome io e Danilo Armani, il figlio del capo miniera Almo Armani, eravamo ragazzi ci facevano andare noi dentro questi tunnel e prendere il materiale da controllare.
La fatica era grande, ma in quegli anni ero giovane e per me la cosa più importante era lavorare, altrimenti il pane non c'era. Nel 1956 ho lavorato così per otto mesi, si cominciava a marzo e si finiva a dicembre. Poi mi hanno licenziato e riassunto a marzo dell'anno dopo, era un contratto stagionale.

Nonostante tutto eravamo trattati bene anche se in quegli anni il capo era molto rigoroso: se ti vedeva fermo anche solo a mangiare un pezzo di pane ti riprendeva. A Giustino eravamo su tra i 10 e i 15 operai dormivamo in una vecchia casa e la moglie del capo, la signora Rosina, ci faceva da mangiare. Mi ricordo che faceva da mangiare usando il lardo e quando si tornava la sera vedevo sulla stufa la cena molto condita e a me stava sullo stomaco. Allora correvo in paese a prendermi qualcosa d'altro da mangiare. Io non ero minatore, ma facevo parte dei gruppi che andavano a forare nelle gallerie. Devo dire che comunque a quell'età lavorare nelle gallerie mi faceva un po' emozionare, all'inizio la cava era allo scoperto poi, quando hanno visto che era possibile entrare nella montagna, hanno cominciato a scavare le gallerie abbastanza profonde fino sotto il paese di Massimeno. Adesso credo che non ci sia più niente perché hanno smontato tutto.
Mi ricordo che una volta sganciando il vagone in galleria sono rimasto schiacciato tra il mezzo e la parete di roccia e ho avuto un brutto momento. Un'altra volta ho avuto una emiparesi facciale dovuta ad un colpo di freddo per le correnti d'aria che c'erano nelle gallerie. Per arieggiare si aprivano dei camini da cui poteva uscire la polvere e poteva entrare l'aria pulita: avevo appena mangiato e mi si è bloccata la digestione che mi ha provocato questa paralisi temporanea. Sono stato ricoverato quindici giorni all'ospedale di Pergine al reparto neurologico e mi hanno curato con le scosse elettriche. Quella volta ho presto molta paura: così giovane con metà faccia bloccata me la sono vista brutta.

La paga non era alta, facevo il manovale, ma non ricordo quanto prendevo perché la ritirava mio padre. 
Nel 1957 sono andato militare e quando sono tornato ho studiato all'Enaip e poi nel 1961 ho trovato lavoro a Zurigo come tornitore dove sono rimasto fino alla pensione nel 1993. L'idea di andare a scuola è stata un'opportunità nuova perché erano i primi anni che avevano aperto l'Enaip a Storo. Il maestro Giovanelli aveva istituito questa scuola dove insegnavano i fratelli Piccinelli. Per me è stato molto importante l'esperienza fatta in quegli anni per il lavoro che poi ho trovato in Svizzera perché ho imparato a leggere i disegni e a conoscere il calibro.

Mio padre si chiamava Bernardino ”Dino” Giacometti era nato a Darzo nel 1913 ed è deceduto nel 1988. Ha comiciato a lavorare nella ditta Maffei una volta tornato dalla guerra dove aveva combattuto in Africa e poi era finito a fare i lavori forzati in Germania. Questo è stato la sua salvezza perché riusciva a uscire dal Lager per lavorare alla costruzione di alcune linee ferroviarie e così strada facendo trovava qualcosa da mangiare. L'unica cosa che sapeva dire era “Haben Sie Brot?” oppure "Geben mir Brot!”. E così si è salvato. Nel 1945 è rientrato e io non l'avevo mai visto perché era partito che avevo un anno. Mi ricordo che io frequentavo la prima elementare e mi ha portato due matite, un temperino e una gomma che a quei tempi significava avere tanto. Ha trovato quindi lavoro alla Maffei altrimenti non c'era altro appena finita la guerra, solo le cave.
Mi ricordo mio padre che lavorava alla Maffei come mugnaio addetto ad insaccare la barite. Dopo la scuola gli portavo la merenda ed era tutto bianco di polvere; quando si toglieva la maschera si vedevano solo gli occhi. Insaccavano a mano con i sacchi di juta e quindi erano continui sbuffi di polvere ogni volta che caricavano e che chiudevano il sacco.

Intervista effettuata il a Lodrone il 17 ottobre 2014.

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