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Adriano Masiero

Adriano Masiero

"Abitando così vicino allo stabilimento, appena sveglio alla mattina solo sentendo il rumore sapevo se giù in stabilimento avrei trovato qualcosa di rotto o meno."

Mi chiamo Adriano Masiero. Sono nato nel 1963 e abito a Darzo da sempre. Dopo aver frequentato le scuole professionali, ho lavorato 23 anni per la Maffei, dal 1986 fino a quando ha chiuso nel 2009, e quindi si può dire che sono l’ultimo meccanico che ha lavorato per questa ditta. Posso dire che praticamente sono nato nella Maffei, perché mio papà faceva il capo operai e anche il guardiano e la mia famiglia abitava in una casa nell’area dello stabilimento e quindi poi per me è stato quasi naturale una volta cresciuto andare a lavorare lì. Quindi la Maffei era la mia casa. Ho abitato lì fino al 1983 quando mio padre è andato in pensione.
Come meccanico, il mio compito era quello di lavorare alla manutenzione dei macchinari dello stabilimento e installare nuovi impianti. Il lavoro mi piaceva, anche se c’era il bello e il brutto.
Di bello c’era che era vario: tutte le mattine quando mi alzavo non sapevo che cosa mi sarebbe successo durante la giornata lavorativa. Abitando così vicino e appena sveglio alla mattina solo sentendo il rumore sapevo se giù avrei trovato qualcosa di rotto o meno. Soprattutto nel periodo in cui macinavamo il rottame ceramico lo stabilimento era molto rumoroso: in casa abbiamo misurato 40 db e quindi si può immaginare che fuori si arrivasse ai 75-80 db. Si macinava rottame ceramico perché, dopo il 1964 quando è stata chiusa la miniera di Val Cornèra e la barite è venuta a mancare, la ditta ha lavorato anche altri materiali come ad esempio il feldspato che la Maffei aveva trovato a Giustino già a partire dalla metà degli anni Cinquanta. Quindi io la barite non l’ho mai lavorata.
Negli anni in cui lavoravo, l’impianto era molto diverso da quello che c’era quando si lavorava la barite, anche se la macinazione è simile, il procedimento di lavorazione nel suo complesso è molto diverso. Infatti con la barite prima si fa la cernita e il lavaggio, poi viene frantumata e infine macinata e addirittura micronizzata fino a cinque micron, come fa tutt’ora la Baritina. Invece con i materiali che ho lavorato io si arrivava la massimo a 30 micron. Il feldspato che lavoravano quando c’ero io arrivava allo stabilimento già arricchito perché già a Giustino lo cernivano, i primi anni a mano, toglievano lo sterile, lo frantumavano in loco e lo lavavano. Quando arrivava a Darzo veniva stoccato nei silos e di volta in volta estratto e macinato nei mulini. Poi c’era la vagliatura per stabilire la dimensione della granella.
Quando nel 2004 è stata chiusa la miniera di Giustino abbiamo provato a lavorare altri materiali: i feldspati potassici, e rottame ceramico. Finito questo abbiamo cominciato a lavorare il quarzo di Sondalo in Valtellina. Quella zona è ricca di miniere ed è forse per quello che in quella zona ci sono dodici sanatori, come canta Davide Van De Sfroos nella canzone “Pica!” riferendosi alla miniera di Frontale. Tutto il materiale scavato lì veniva portato a Darzo, perché con il quarzo non c’è scarto, e noi facevamo la granella fine, media e grossa. Il materiale grosso veniva usato per fare i materiali più pregiati come il marmo-resina che serve, ad esempio per fare i piani delle cucine, e le piastrelle e così via. Per quanto riguarda l’ambiente di lavoro, durante gli anni che sono stato lì io è migliorato perché c’era sempre meno polvere, il lavoro diventava meno pesante grazie all’automazione.
Mentre l'aspetto meno piacevole del lavoro era il rapporto con i proprietari che con gli anni è andato peggiorando.
Quando ci lavorava mio papà e la mia famiglia abitava nello stabilimento il rapporto con i proprietari era umano e diretto. Mio papà mi diceva che nel 1950 quando è venuto a lavorare per la Maffei dormiva e mangiava nella cantina della villa dei proprietari. Al momento di prendere lo stipendio mio papà ha chiesto al dottor Italo quanto doveva per il vitto e l’alloggio. Allora lui gli ha chiesto: “Quanto hai preso questo mese?”, e mio papà gli ha risposto: “23.000 lire”, “Allora non se ne fa niente questo mese” ha detto il dottor Italo che sapeva che mio papà aveva due figli da mantenere. In generale il rapporto tra proprietari e lavoratori era umano. Infatti, quando qualcuno aveva bisogno di soldi, invece di andare in banca, si rivolgeva al dottor Italo che lo mandava dal ragioniere Vigilio Girardini, che era un’istituzione, il quale detraeva un tanto al mese dallo stipendio e così tanti hanno potuto comperare o farsi la casa.
Questo rapporto poi non c’è più stato da quando è subentrata l’Iris che ha cambiato molti dirigenti e alla fine diceva che quello che non è previsto nel contratto di lavoro nazionale non era tenuta a darcelo, e così sono state soppresse le gite aziendali, tanto per fare un esempio, e poi taglia taglia l’ultima cosa che ci è rimasta è stata la mensa.

Mio papà si chiamava Antonio Masiero ed era nato nel 1923 in provincia di Vicenza ed è deceduto un mese fa.
Ha cominciato a lavorare a Darzo dopo la guerra nel 1948 quando si è congedato dal corpo dei Carabinieri. Siccome in quel periodo in Veneto non c’era lavoro, tramite il suo Capitano, che conosceva la famiglia Maffei, ha saputo che a Darzo nello stabilimento c’era bisogno di un magazziniere fidato. Allora ha trovato il posto e ha cominciato a lavorare qui, mi sembra, il giorno di Santo Stefano del 1950.
Mi raccontava mio papà che prima di venire qui, aveva fatto richiesta di lavoro alla ditta Marzotto di Valdagno che è vicina al suo paese di origine. Dopo tre anni che lavorava qui gli è arrivata dalla Marzotto l’offerta di un impiego e lui voleva accettare. Ma il Vigilio Girardini e il dottor Italo lo hanno convinto a restare e, siccome lui qui abitava ancora da solo senza la moglie e i figli, per riunire la famiglia è stata rialzata una parte della falegnameria ed è stato costruito un appartamentino. Abbiamo abitato lì fino a quando io avevo quattro anni. Dopo ci siamo trasferiti nell’appartamento sopra gli uffici perché il nostro era troppo piccolo per ospitare la nostra famiglia che era di sette persone.
Mio papà ha iniziato come magazziniere. Poi quando a metà degli anni Cinquanta il magazzino principale è stato trasferito da Darzo a Trento dove era stato aperto lo stabilimento, hanno offerto la possibilità a mio papà di trasferirsi lì a gestire tutto il nuovo magazzino. Però mio papà ha preferito restare qui, e quindi, ha continuato sempre ad occuparsi del magazzino, ma siccome il lavoro era diminuito, si è occupato anche del lavoro dello stabilimento e piano piano è diventato capo operai. Faceva i turni insieme a Giuseppe Armani.
Però a dire la verità, me lo ricordo quando ero bambino, si può dire che mio papà lavorasse 24 ore al giorno, perché era normale che lo chiamassero anche di notte. Si sentiva urlare da fuori: “Antonio!” e mio papà si alzava, si vestiva e scendeva per andare a vedere cosa era successo, oppure lanciava dalla finestra le chiavi di qualche magazzino. Poi fino agli anni Sessanta lavorava anche il sabato e quando non aveva qui la famiglia, lavorava anche la domenica. Aveva solo il tempo di andare a messa. Diciamo che dagli anni Settanta le cose sono andate migliorando, ad esempio si turnavano una domenica sì e una no per sorvegliare lo stabilimento. Ha lavorato fino al 1983 quando aveva 60 anni.

Intervista effettuata nel dicembre del 2010 a Darzo. 

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